“Traditori!”: quando la polizia occupò per un mese lo Spiegel. Una storia fra Le Carré e la Pantera Rosa

Pubblicato il 29 Settembre 2012 - 08:00 OLTRE 6 MESI FA
Due poliziotti durante l’occupazione dello Spiegel

BERLINO – A loro furono dati nomi come Dragonfly (libellula) Fly (mosca) e Wasp (vespa). Cinque squadre con nomi in codice come Pentathlon e Einstein erano sulle loro tracce in “Sabotaggio”, un’operazione segreta del controspionaggio militare tedesco (Mad), uno dei tre servizi segreti in Germania. La caccia era cominciata.

Siamo nella Germania Ovest, ottobre 1962, in una vicenda che sembra uscita dalla penna di John Le Carrè (che all’epoca stava scrivendo il suo bestseller “La Spia che venne dal Freddo”). Ma in quell’occasione, in piena Guerra Fredda, gli 007 tedeschi credevano veramente di essere sulle tracce di una cospirazione internazionale. Pensavano che il fondatore dello Spiegel (“Lo Specchio”, il più noto settimanale d’informazione tedesco) Rudolph Augstein (nome in codice Dragonfly) avesse violato segreti militari della Germania Ovest insieme ai giornalisti dello Spiegel Conrad Ahlers (ribattezzato Fly) e Hans Schmelz (Wasp, vespa).

Lo Spiegel-affair, come fu chiamato dopo, sarebbe costato il posto al ministro della Difesa, reso lo Spiegel famoso in tutto il mondo e segnato un momento spartiacque nella democrazia della Germania Ovest del dopoguerra.

Ma l’operazione del Mad, meticolosamente pianificata, cominciò con una gaffe. Alle 18:15 di venerdì 26 ottobre, dalle parti di Düsseldorf, un anziano gentiluomo era uscito di corsa dall’ufficio, diretto alla sua Mercedes sotto una pioggia battente, con un anatra sottobraccio per l’arrosto della domenica. Improvvisamente fu fermato dagli agenti della polizia criminale Federale.

I poliziotti erano sicuri di aver preso “libellula” Augstein. Dopo tutto, la Mercedes era parcheggiata di fronte alla redazione di Düsseldorf dello Spiegel e aveva la targa di Amburgo. Tutto quadrava: Augstein viveva ad Amburgo, dove c’era la redazione centrale dello Spiegel, e aveva anche un domicilio a Düsseldorf.

Tutto quadrava, tranne il fatto che il “sospetto” negava con veemenza di essere Augstein. Insisteva: “Il mio nome è Erich Fischer, sono un agente pubblicitario dello Spiegel”. Il sedicente Erich Fischer non poteva però provare quanto diceva: non aveva la carta d’identità con sé.

“Potresti rendere le cose più facili per te e per noi sotto questa maledetta pioggia – disse spazientito uno degli agenti – basta che ammetti che tu non sei Fischer”. Fischer rispose con una battuta amara: “Se confesso, arrivo a casa prima?”. Ci vollero due ore prima che gli agenti capissero di aver sbagliato uomo, nonostante il corpulento Fischer non assomigliava per niente ad Augstein, che era magro e più giovane di 15 anni.

Così il più grande scandalo politico della Germania del dopoguerra iniziò con una serie imbarazzante di errori, che diedero luogo a un’ulteriore catena di gaffe. Gli agenti arrivarono a rovistare sotto i letti dei figli di Claus Jacobi, caporedattore dello Spiegel, sequestrando i loro disegnini come prove. In un’altra occasione, la polizia seguì una macchina per tutta Amburgo, finché finalmente la vettura si fermò in una zona di orti pubblici. L’uomo che uscì dalla macchina non era il sospetto traditore Augstein, ma un innocuo capomastro.

La vicenda si evolveva in una maniera che assomigliava di più alla Pantera Rosa che a un romanzo di Le Carré. Ma la gravità delle accuse, la prepotenza delle autorità e le bugie o le mezze verità di alcune delle parti coinvolte, non rese la faccenda tanto divertente per i giornalisti dello Spiegel e per molti tedeschi.

Mai nel dopoguerra la Germania Ovest aveva agito contro i giornalisti così, senza scrupoli. E mai prima di allora i tedeschi occidentali fecero sentire il loro disappunto con tanta forza nelle strade. Un’inedita alleanza di conservatori e gente di sinistra protestò insieme agli studenti contro l’attacco in corso alla libertà di stampa. Lo Spiegel-affair divenne presto uno scandalo che portò alla crisi del governo del Cancelliere Konrad Adenauer e costò le dimissioni all’uomo più potente del suo gabinetto, il ministro della Difesa Franz Josef Strauss.

COME INIZIÒ LO “SPIEGEL-AFFAIR”. Tutto cominciò con la storia di copertina pubblicata sul numero dello Spiegel uscito l’8 ottobre 1962. Era un’inchiesta di 17 pagine sulle forze armate tedesche, le Bundeswehr, firmata da “mosca” Conrad Ahlers e “vespa” Hans Schmelz. Un’inchiesta al termine della quale i reporter giunsero all’allarmante conclusione che, riprendendo la valutazione fatta dall’alto comando della Nato, le forze armate della Germania erano “non del tutto preparate” a difendere il Paese in caso di attacco. Mancavano le armi, le truppe, la strategia. L’esercitazione Nato Fallex 62, svoltasi poco tempo prima, aveva dimostrato come le linee difensive della Germania Ovest sarebbero state travolte in poco tempo nel caso di un attacco da parte dei comunisti della Germania Est.

Conclusioni forti, ma nulla di sconvolgente per i capiredattori dello Spiegel, che semmai avevano giudicato l’articolo un po’ troppo lungo, prolisso. Anche perché erano già state in parte pubblicate queste notizie in un articolo precedente dello Spiegel e in un giornale della domenica (tradizionale giorno della stampa popolare, usanza che in Italia non c’è). Non c’erano state reazioni e smentite nei due casi precedenti e non ce ne furono neanche quando uscì quel numero dello Spiegel. Ma qualcuno si stava già muovendo per mettere nel sacco quei “giornalisti spioni”.

L’ACCUSA DI GIORNALISMO TERRORISTICO. Uno di quelli che si stavano già muovendo era Friedrich August von der Heydte, un professore di destra, che insegnava diritto internazionale a Würzburg e che era anche un membro di un’associazione clerical-reazionaria che aveva come missione quella di “salvare” l’Occidente cristiano. Ironizzano quelli dello Spiegel: “Ora a quanto pare la sua missione sembrava quella di salvare l’Occidente dallo Spiegel”. Non scherzava von der Heydte quando sporse denuncia l’11 ottobre, tre giorni dopo la pubblicazione dell’inchiesta sulle forze armate, accusando il settimanale di “tradimento”.

Ma l’ufficio del procuratore federale al quale von der Heydte sporse denuncia era stato già attivato qualche giorno prima. E aveva affidato a un consulente legale, Heinrich Wunder, la valutazione sul fatto se fosse stato pubblicato o meno qualche segreto di Stato. Ma Wunder lavorava nel dipartimento di diritto penale del ministero della Difesa, che anche allora era guidato da Strauss. In altre parole era il ministero stesso ad essere stato messo in imbarazzo dalla pubblicazione dell’inchiesta. Quanto poteva essere obiettivo, allora, il consulente Wunder, dipendente del ministro della Difesa?

Oltre a questo Wunder, che aveva assunto l’incarico da poco tempo, non aveva mai dato un parere su questioni militari. Circostanze che non gli impedirono di arrivare molto presto a un risultato: in pochi giorni identificò nell’inchiesta dello Spiegel ben 41 segreti di Stato violati. Fra i “segreti”, il nome di un attore che aveva interpretato il ministro della Difesa durante l’esercitazione Fallex 62.

Wunder fu aiutato dalla definizione molto vaga che l’ordinamento tedesco dava al segreto di Stato. Nella vaghezza, tutto poteva esser fatto passare come un segreto di Stato. Anche perché Wunder aveva un superiore che faceva pressione perché lo Spiegel potesse essere accusato di tradimento, il ministro Strauss. Il quale, subito dopo aver letto l’inchiesta, si era scagliato con rabbia contro il “giornalismo terroristico” dello Spiegel. E aveva colto l’umiliazione del suo ministero come un’opportunità per regolare i conti con il settimanale e il suo direttore Augstein, che gli davano fastidio già da un pezzo. Era l’occasione giusta per mettere a tacere lo Spiegel, dopo averci provato tante volte.

Fu il vice di Strauss, Volkmar Hopf, a convincere con una balla la procura federale ad agire contro lo Spiegel. Andò il 20 ottobre in procura a Karlsruhe, accompagnato dal consulente-dipendente Wunder, e raccontò ai procuratori che gli americani si erano arrabbiati molto per l’inchiesta dello Spiegel e avevano minacciato di escludere la Germania Ovest dai segreti della Nato.

La balla funzionò e il 23 ottobre un giudice istruttore presso la Corte federale di giustizia firmò una serie mandati di arresto e di perquisizione. Chi si opponeva all’operazione venne estromesso dal ministero della Difesa: in particolare il ministro della Giustizia Wolfgang Stammberger, il Bundesnachrichtendienst (BND) e l’Ufficio per la Protezione della Costituzione, ovvero i servizi segreti dedicati ad affari “esterni” e “interni” allo Stato tedesco. Strauss e il suo vice Hopf usarono per l’operazione gli uomini della polizia criminale Federale (Bka) e gli 007 militari del Mad.

LA POLIZIA IN REDAZIONE – Dopo l’imbarazzante scambio di persona del 26 ottobre, i tempi dell’operazione si velocizzarono, perché gli agenti pensavano che Fischer, l’Augstein sbagliato, avrebbe potuto avvertire il vero Augstein.

Alle 21:30 dello stesso giorno, la polizia occupò tutte le 117 stanze e i 3.000 metri quadrati della redazione centrale dello Spiegel, ad Amburgo. Le telefonate con l’esterno furono proibite, tutto il lavoro del settimanale stoppato, i giornalisti isolati dal mondo. Era il giorno di “chiusura”, le ultime ore utili per completare il numero che sarebbe uscito in edicola.

Iniziò il gioco del gatto col topo. Mentre il personale protestava, un caporedattore nascosto in un armadio continuava a fare telefonate. Vennero fatte fotografie dell’occupazione, e i reporter affidarono la preziosa pellicola a un’assistente di laboratorio che riuscì a “contrabbandarla” nascondendola nel reggiseno, superando così le perquisizioni dei poliziotti all’uscita. Mentre il caporedattore Claus Jacobi minacciava di fare causa alla polizia per danni, la cosa peggiore per lo Spiegel fu evitata: il numero che stava per uscire fu regolarmente “chiuso”, anche se sotto la supervisione della polizia, e potè andare tranquillamente in edicola.

Restava da fare, per gli agenti, un lavoro immenso: perquisire ed esaminare ogni cosa, dagli scantinati alle cucine. Impresa impossibile, perché si trattava di milioni di documenti: libri, dossiere, foto, ogni singolo pezzo di carta. I poliziotti non ci misero molto ad andare in tilt. L’unica “prova” che fu trovata era nella cassaforte di Augstein: gli appunti di una sua conversazione con un ufficiale della Bundeswehr. Ma non fu sufficiente a sostenere l’accusa di tradimento.

Lo Spiegel rimase occupato dalla polizia per un mese. Riuscì ad essere pubblicato regolarmente solo grazie all’aiuto dei suoi rivali: lo Stern e Die Zeit “regalarono” ai giornalisti dello Spiegel degli spazi all’interno delle loro redazioni centrali.

Augstein, che il giorno dopo dell’occupazione dello Spiegel si era costituito, osservò dalla cella il suo nemico Strauss rovinarsi lentamente con le proprie mani.

Strauss aveva oltrepassato il limite ordinando l’arresto di Ahlers, la firma principale dell’inchiesta sotto accusa. Il 26 ottobre, Ahlers era in vacanza nel sud della Spagna. Nel mezzo della notte, fu arrestato a Torremolinos: una mossa che era “un po ‘fuori della legge”, come ammise il ministro degli Interni Hermann Höcherl.

Strauss protestò la sua innocenza: non aveva nulla a che fare con l’episodio dell’arresto, spiegò alla Bundestag, il parlamento tedesco. Ma si scoprì che aveva telefonato durante la notte al reparto dell’esercito tedesco di stanza a Madrid, chiedendo che Ahlers fosse arrestato immediatamente: “Ve lo chiedo a nome del Cancelliere”. Era anche questa una balla, come quella che Strauss disse in una seconda telefonata: che Augstein era già scappato nella comunista Cuba, dove l’Unione Sovietica era arrivata a un passo dal provocare una terza guerra mondiale durante la crisi dei missili cubani.

Il ministro della Difesa fu messo sotto accusa dall’opposizione dei socialdemocratici (Spd) e iniziò piano piano ad ammettere la verità, innescando un terremoto politico. Il partito liberal democratico, in coalizione nel governo Adenauer, si sentiva già snobbato perché nell’operazione “Sabotaggio” il suo ministro della Giustizia, Stammberger, era stato messo da parte. Non ci mise molto a chiedere le dimissioni di Strauss. E tutti e cinque i ministri liberaldemocratici si dimisero per protesta il 19 novembre. Adenauer fu costretto a formare un nuovo governo, lasciando Strauss solo nei guai in cui si era cacciato.

Adenauer salvò il suo cancellierato, ma neanche lui aveva risparmiato attacchi allo Spiegel, dando al settimanale del “traditore”, prima di conoscere l’esito delle indagini. E criticò anche gli inserzionisti dello Spiegel: “Ci sono persone che hanno aiutato lo Spiegel continuando a pagargli la pubblicità: io non ho una grande opinione di queste persone”.

Ma dallo scandalo lo Spiegel non ebbe nessun danno economico, anzi. Durante l’occupazione non perse un inserzionista e a conti fatti lo Spiegel-affair fu un affare per lo Spiegel: il settimanale divenne famoso anche fuori dalla Germania e la sua diffusione aumentò nettamente.

L’ambizioso e potentissimo Strauss si era giocato il suo futuro da Cancelliere, regalando all’odiato Augstein la sua più grande vittoria.