Cina, da Bo Xilai a Xi Jinping: il Partito Comunista prova la rifondazione

Pubblicato il 26 Ottobre 2012 - 07:15 OLTRE 6 MESI FA
Bo Xilai lascia: Xi Jinping sarà leader del Partito Comunista Cinese (foto Lapresse)

PECHINO – Da Bo Xilai e Wen Jiabao a Xi Jinping, il Partito Comunista Cinese comincia la sua transizione. Per una coincidenza del calendario la successione dei vertici della dirigenza del partito comunista e delle alte cariche dello stato avrà luogo in novembre, in contemporanea con le elezioni americane (6 e 8 novembre). Hu Jintao, presidente e segretario del partito e Wen Jiabao, primo ministro, rispettivamente 69 e 70 anni, lasceranno il posto a più giovani dirigenti.

Nel sistema politico cinese, in cui l’inner circle del partito sceglie il capo del governo e avalla le decisioni strategiche, non esiste l’incertezza che caratterizza le svolte politiche delle democrazie occidentali. Da diversi anni, i governi e i media conoscono colui che da novembre rivestirà la massima carica della Cina, Xi Jinping, 59 anni. L’ascesa al potere di Jinping è stata ordinata e graduale, secondo quella volontà d’armonia e d’ordine tipica della filosofia del partito comunista. Dal 2007, Xi Jinping è stato incaricato dell’importante organizzazione dei Giochi Olimpici di Pechino e, in qualità di vice presidente cinese, è stato inviato in missioni diplomatiche in Europa, Stati Uniti, America Latina e Giappone.

La presidenza di Jinping si incardina in una fase delicata per lo sviluppo economico della Cina, dal punto di vista interno e internazionale. Gli equilibri regionali sono resi precari del conflitto latente tra Pechino e Tokio come pure dal recente attivismo politico degli Stati Uniti nella regione del Pacifico. L’apertura del potere comunista alla discussione pubblica è insufficiente per una società cinese sempre più urbana e internazionalizzata: la libertà di opinione e la trasparenza democratica sono aspirazioni che la collettività del paese emergente sentirà con maggior forza nei prossimi anni. La locomotiva economica cinese non dovrà abbandonare gli straordinari ritmi di produzione. Si tratta di un’esigenza politica. Gli analisti considerano che una crescita annua del prodotto interno lordo dell’8% sia la condizione necessaria per evitare disordini sociali. Infine, il partito comunista cinese dovrà essere capace di riformare le strutture politiche e di mettere un freno alla corruzione dilagante nei ranghi dirigenti.

La recente vicenda di Xilai e sua moglie ha mostrato la vulnerabilità di un sistema. Bo Xilai, dirigente cinese, 63 anni, era una stella della politica, dal piglio carismatico e dalla tendenza riformista. Sarebbe diventato, questo novembre, uno dei venticinque membri del comitato ristretto del partito comunista, se, in seguito ad un affare di corruzione e omicidi, che ha implicato lui, sua moglie ed un uomo d’affari inglese, non si trovasse oggi ad attendere il giudizio del tribunale. Le dimissioni di Xilai hanno mostrato la corruzione interna al sistema politico cinese ma anche, e soprattutto, le fratture interne alla dirigenza comunista, divisa sulla sorte del dirigente, poco prima di una svolta politica maggiore.

Questa svolta politica sta per essere incarnata da Xi Jinping. La scelta del comitato centrale, organo decisionale supremo, si è appuntata su di lui anche per la reputazione di politico incorruttibile, guadagnata sul campo nell’organizzazione delle Olimpiadi e nell’amministrazione di Shangai. La lotta alla corruzione sarà senz’altro una delle tante sfide del prossimo ciclo cinese, insieme a quelle, forse più importanti per il resto del mondo, di uno sviluppo economico e democratico armonioso e a quella di un equilibrio pacifico nella regione.