Expo, il ritardo vergogna dei costruttori, il raduno barbarie dei distruttori

Pubblicato il 30 Marzo 2015 - 14:30 OLTRE 6 MESI FA
Expo, il ritardo vergogna dei costruttori, il raduno barbarie dei distruttori

Expo, il ritardo vergogna dei costruttori, il raduno barbarie dei distruttori (foto Ansa)

“E’ chiaro che per completare in tempo il Padiglione Italia servirebbe…un miracolo, dice qualcuno. Dobbiamo dunque sperare nell’intervento divino che comunque non abbiamo meritato…Sono sette anni dal fatidico giorno in cui…”. Sette anni dall’annuncio che Milano si era aggiudicata l’Expo, sette anni per prepararsi, per fare, per costruire. A un mesi dall’inaugurazione Sergio Rizzo sul Corriere della Sera scrive del “ritardo che non è scusabile”.

Ritardo per il Padiglione Italia, ritardo per l’Albero della Vita “i due cantieri simbolo dell’Expo, i due progetti che più di ogni altro dovrebbero rappresentare il nostro paese agli occhi del mondo”. Ritardo non importa a questo punto da chi e cosa causato, ritardo che è  comunque vergogna per i costruttori dell’Expo. Per la Regione Lombardia, per il Comune di Milano, per i responsabili dell’Expo, per Milano, per le imprese appaltatrici, per il governo che ci “ha messo la faccia” e rischia di ritrovarsela rossa per lo schiaffo. Ritardo vergogna per i costruttori dell’Expo: in sette anni sette il “sistema” sociale, economico, produttivo, normativo non è riuscito a fare quel che nel resto del mondo si fa, quando va male, nella metà del tempo.

E non consola poter legittimamente supporre che anche questo ritardo italiano non sia ritardo da inefficienza e incapacità. Che sia stato, almeno fino a che ad Expo non è arrivata la supervisione di Raffaele Cantone in funzione anti corruzione, ritardo voluto, programmato. Ritardare i tempi dei cantieri è in Italia, strategia, è politica economica. Così arriva “emergenza”, si saltano vincoli e controlli e si aumenta il costo dell’opera, insomma l’appalto. L’Italia è quel paese che ha prodotto con il “liberista” Berlusconi al governo la “legge obiettivo”. Nessuno sul pianeta è riuscito ad avere contemporaneamente una legge per le opere pubbliche che ha saltato quasi tutti i controlli, ha realizzato neanche il 10 per cento delle opere e ha in media triplicato i costi degli appalti. L’Italia è peraltro quel paese dove se vuoi mantenere tutte le regole i controlli c’è sempre un ricorso al Tar, un Tar che blocca, una autorizzazione imperfetta e impugnata, un Comitato del No. Nessuna retorica dell’abilità italiana del cavarsela all’ultimo minuto ci emenderà dalla vergogna del ritardo…costituzionale!

“L’obiettivo è un raduno anticapitalista per il Primo maggio, in coincidenza con l’apertura dell’Expo…Un rapporto dei Servizi è eloquente: la manifestazione potrebbe avere una capacità di interdizione dieci volte superiore a quella del G8 di Genova…”. Prima pagina del La Stampa, articolo di Fabio Martini, fermarsi sulla “capacità di interdizione”. Interdizione a che, a cosa, a chi? A migliaia si raduneranno a Milano per “interdire” una rassegna mondiale, una ricerca mondiale, una esposizione mondiale sul cibo, sul cibo! Ci saranno le grandi multinazionali del cibo e anche i produttori del chilometro zero e anche i contadini e gli imprenditori del biologico. Ci saranno quelli delle sementi andine e quelli delle sementi industriali. Ci saranno tutti, tutti quelli grandi e piccoli che lavorano, studiano, producono, commercializzano il cibo. Anzi, proprio tutti no: non ci saranno gli Ogm.

Non ci sarà, non ci sarebbe proprio nulla da “interdire” ma chi c’è e chi non c’è nulla importa agli aspiranti distruttori dell’Expo in via di mobilitazione. La loro psiche politica è come quella di un Andreas Lubitz della politica appunto: portare il mondo intorno a se stessi a schiantarsi, annullarsi. Il mondo intorno a se stessi e possibilmente altri pezzi di mondo, qualunque pezzo di mondo. Anzi quelli che si radunano per spezzare le reni all’Expo sono peggio della metafora Lubitz della politica. Sarebbe come se il copilota Germanwings, il Lubitz in carne e ossa, avesse schiantato l’aereo sulle Alpi dicendo, urlando e lasciando scritto che lo faceva per la democrazia del volo e per la tutela dei passeggeri dagli speculatori dei biglietti. Già, questa è non la metafora ma la parodia triste della cultura e della politica che gli “antagonisti” vanno a inscenare a Milano. Supremo sfregio: nel giorno del Primo di maggio, festa dei lavoratori. Viene in mente una frase appena letta: “La barbarie è come la jungla, non ammette mai di essere sconfitta, sa attendere decenni e anche secoli per riprendersi quel che la civiltà le aveva tolto”