Quando a Palazzo Chigi ci sarà la Appendino con le sue diete vegane

di Giuseppe Turani
Pubblicato il 14 Dicembre 2016 - 06:08 OLTRE 6 MESI FA
Quando a Palazzo Chigi ci sarà la Appendino con le sue diete vegane

Quando a Palazzo Chigi ci sarà Chiara Appendino con le sue diete vegane

Il sogno di Renzi di cambiare l’Italia è finito. Si torna ai governi di coalizione, con in più Dibba e Di Maio, annota con amarezza e preoccupazione Giuseppe Turani in questo articolo pubblicato anche su Uomini & Business.

L’Italia, qualunque cosa abbia detto Renzi, non è un paese solido e a posto. E’ un paese in bilico e a rischio esplosione. Con molta fatica (e qualche debito in più) per il 2017 si era fissato un obiettivo di crescita molto modesto: l’1 per cento. E già questo, nelle condizioni date, poteva essere considerato un piccolo miracolo. Ma non verrà mai raggiunto. Moody’s ci ha appena declassati e i centri di ricerca internazionale hanno subito abbassato la nostra crescita allo 0,9 per cento.

Può essere che si riesca a arrivarci. Ma è sul medio e lungo periodo che il panorama si fa fosco.

Non è complicato capire perché. Questo è un Paese oppresso da un debito molto elevato e in crescita ”naturale”, in più ha una burocrazia fra le peggiori del pianeta, accompagnata da un sistema giudiziario (i famosi Tar) fra i più imprevedibili del mondo.

Adesso, come se queste cose non bastassero, ci si mette anche il ritorno all’Italia della prima repubblica, quasi certamente con un sistema elettorale di tipo proporzionale. E quindi con vecchi governi di coalizione, dove tutti cercano spazio e quindi cercano di paralizzare gli altri soci.

E’ una storia che abbiamo già conosciuto e che abbiamo visto dove ci ha condotto. Adesso, naturalmente, tutti i troll dei social network stanno ripetendo in coro che la colpa di tutto ciò è da addebitare a Renzi. Magari fosse vero.

No. Vadano a vedere le cifre: l’indebitamento italiano corre implacabile a partire dagli anni Settanta. Ha attraversato qualsiasi cosa: centrismo, centro sinistra, compromesso storico, monocolori, tutto. C’è stato un rallentamento solo fra il primo e il secondo governo Prodi: per il resto, solo e sempre aumento.

E adesso, rispetto alla prima repubblica, abbiamo anche questa sciagura dei populisti e dei dementi da tastiera: nella prima repubblica questa marmaglia non c’era e non sarebbe stata tollerata. C’erano dei democristiani un po’ ladri e un po’ incapaci, magari, ma che maneggiavano discretamente la lingua italiana e che credevano in Dio e nella Madonna, non nelle scie chimiche.

C’erano anche dei socialisti ribaldi e desiderosi di cambiamento. E dei comunisti sempre in ritardo di almeno trent’anni sulla  storia. Ma non gente come Di Maio e Dibba (ma anche Brunetta…). Grillo non era riuscito nemmeno a prendere uno stipendio dalla Rai, figurarsi fare il capopopolo.

C’era, insomma, gente di qualità mille volte meglio di quella di  oggi. Eppure hanno fatto un disastro. Ci hanno consegnato un Paese pieno di debiti, soffocato da burocrazia e leggi impossibili, con una crescita standard quasi inesistente. Più una disoccupazione da paura. E questo è stato fatto quando Renzi era ancora al liceo.

Oggi, come qualcuno ha scritto, abbiamo il fronte del No che sembra un autobus affollato, ma dove nessuno è capace di guidare il mezzo. Nessuno dice mai che cosa fare perché non lo sa.

Ecco, con il proporzionale l’autobus dove nessuno sa guidare rischia di diventare l’ Italia. Con populisti e leoni da tastiera urlanti, in mezzo a una selva di bugie. Quello che abbiamo in più, rispetto alla prima repubblica, è Grillo e il suo codazzo di attori presi dalla strada. Come è potuto accadere?

Dove hanno sbagliato allora Renzi e quelli che come lui volevano un cambiamento?

In parte il populismo e le derive silvo-pastorali sono il frutto della non-crescita e della crisi. Quando le cose vanno male e non si vede la soluzione, si pensa che anche i santoni possano salvarci. Tutti sanno che non è mai successo, ma da disperati si ragiona male.

Ma poi ci sono gli errori di Renzi e dei suoi amici. Errori che forse non potevano essere evitati, ma che ci sono stati e che hanno pesato. L’errore più grosso, fondamentale, non sta in una certa arroganza, nell’aver comunicato male, o nei maglioni della signora Agnese. L’errore grave è stato quello di avere la mano morbida con le riforme. Chi si lamenta perché Renzi con il Job Acts ha tolto lo stupido articolo 18, vada a vedere che cosa ha fatto Rajoy in Spagna. E che cosa propone di fare Fillon in Francia.

La risposta di Renzi e dei suoi amici a questa osservazione (di aver riformato poco) è prevedibile: non avevano la forza politica per procedere con più determinazione. Giustissimo.

Il problema che si pone oggi però  è che nessuno, con il ritorno al proporzionale e alle variopinte alleanze di governo, avrà mai la forza necessaria. Si sarà costretti, dalle cose, a viaggiare sotto costa. A tirare a campare. E felici se non ci ritroviamo davvero Di Maio o l’ineffabile signora Appendino e le sue diete vegane a palazzo Chigi.

Non ho idea di come si possa uscirne.

L’unica cosa che so è che il 4 dicembre questo ha fatto l’Italia: si è condannata a marcire dentro la sua ingovernabilità e con una classe politica fra le peggiori mai apparse sulla scena.