Siderurgia, perché un settore a impatto ambientale zero è possibile

di Redazione Blitz
Pubblicato il 24 Gennaio 2019 - 13:51| Aggiornato il 29 Gennaio 2019 OLTRE 6 MESI FA
Siderurgia, perché un settore a impatto ambientale zero è possibile

Siderurgia, perché un settore a impatto ambientale zero è possibile

ROMA – Un settore siderurgico che sia a impatto ambientale zero è possibile. La siderurgia rappresenta uno dei principali settori produttivi su cui si fonda l’economia nazionale di un Paese manifatturiero come l’Italia. Insieme ad altri settori, come la chimica e la meccanica, l’andamento della siderurgia è un importante indicatore della posizione congiunturale del sistema economico nazionale rispetto alle diverse fasi del ciclo economico.

Lo vediamo chiaro in questo periodo, in cui il mercato dell’acciaio sta seguendo inesorabilmente l’onda di incertezza che caratterizza l’economia globale.

Questo accade perché l’acciaio è uno dei materiali più largamente utilizzati a livello mondiale. Esistono numerosissime tipologie di acciaio, che hanno infiniti campi di utilizzo ed applicazione: edilizia, trasporti, produzione di energia, industria automobilistica, sistemi di approvvigionamento dell’acqua, industria agroalimentare, etc.

Insieme alla consapevolezza del suo valore, da sempre la siderurgia ha evocato il problema dell’impatto ambientale.

L’acciaieria infatti è in genere un’industria radicata nel territorio, spesso dai primi anni del 900, se non dalla fine dell’800.

È il caso dell’Acciaieria di Terni, nata precisamente nel 1884, la cui vicinanza alla città ne ha sempre condizionato la storia, contribuendo a stimolare l’adozione di criteri di autoregolamentazione ambientale, spesso in anticipo ed in modo più restrittivo rispetto a quanto richiesto dalle normative vigenti.

Gli investimenti in campo ambientale non hanno interessato solo le attività volte a garantire l’adempimento alle prescrizioni presenti nell’Autorizzazione Integrata Ambientale e quelle formulate dal Ministero dell’Ambiente, ma anche interventi migliorativi in grado di garantire una maggior protezione delle matrici ambientali (aria, acqua, suolo).

Per questo è importante sottolineare e correggere alcune inesattezze riportate dai media che tendono in questo modo a recare un grave danno non solo all’Azienda ma anche a tutta la comunità ternana.

È il caso di un servizio tv intitolato “La valle dei veleni”, il cui tema centrale era la discarica della Acciaieria di Terni. “Una descrizione di pura fantasia su quelli che sarebbero gli effetti di questo sito sulla comunità locale, piena di varie e gravi imprecisioni”, spiega l’azienda.

Un primo passaggio riguarda le tempistiche degli interventi di bonifica sul parco scorie di AST che non sono agli inizi, come sottolineato dalla giornalista, perché la zona B della discarica è stata già oggetto di Messa in Sicurezza Permanente, intervento previsto dalla legge, approvato dal Ministero dell’Ambiente, eseguito dall’azienda e certificato dagli enti locali.

All’interno del servizio si ascolta poi un cittadino che ripercorre la storia della sua fattoria adiacente al parco scorie e delle galline abbattute a causa della presenza nelle uova di agenti inquinanti dannosi per la salute. La modalità in cui è raccontata la vicenda lascia intendere che la responsabilità di questo evento sia di AST, mentre la relazione causa-effetto tra la presenza della discarica e quella delle diossine non regge, perché i rifiuti che AST porta in quel sito non contengono diossine. D’altra parte sul tema era stata la stessa ASL a precisare che non si potesse indicare l’acciaieria come causa del problema.

È un dato di fatto che sul territorio ternano non operi solo il sito siderurgico, ma nel tempo siano stati attivi altri impianti industriali: l’area Terni-Papigno infatti è un Sito di Interesse Nazionale (SIN), ovvero una di quelle aree che solo a fino anni ’90 lo Stato ha individuato come interessate da un potenziale inquinamento di particolare rilievo, in rapporto alle caratteristiche degli inquinanti e della loro pericolosità, all’estensione, all’impatto sull’ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico, nonché di pregiudizio per i beni culturali ed ambientali. Sono gli anni in cui lo Stato inizia a prevedere interventi volti alla bonifica e al ripristino ambientale di queste zone, da realizzare attraverso un apposito programma di finanziamenti pubblici. Tra questi siti nel settembre 2001 rientra anche il SIN Terni-Papigno, istituito con un decreto ministeriale che individuava l’area umbra come intervento di bonifica di interesse nazionale.

Così ben 117 anni dopo la sua nascita l’Acciaieria ha iniziato il lungo e complicato cammino verso una nuova politica di attenzione verso l’ambiente in tema di caratterizzazione di suolo e sottosuolo. La fabbrica ha inizialmente concentrato le proprie attività sui carotaggi dei propri terreni e quindi è passata a completare, in linea con le indicazioni ricevute dal Ministero dell’Ambiente, l’ARPA e le altre autorità competenti, la caratterizzazione delle acque di falda.

È iniziato un percorso accurato di analisi e monitoraggi svolti dall’azienda, in un clima di massima trasparenza con gli Enti competenti che, alla fine dello scorso anno, hanno portato a riscontrare alcune contaminazioni in falda.

Come previsto in questi casi, l’azienda ha comunicato a tutte le autorità competenti i risultati delle analisi e ha aumentato il numero di piezometri (oggi sono 33 nel sito e 25 in discarica) per monitorare la falda e procedere alla realizzazione di un importante studio idrogeologico.

Il risultato dei monitoraggi ha permesso di stabilire che la contaminazione presente è riconducibile ad una contaminazione “storica” e quindi non determinata da fenomeni in corso.

Il secondo intervistato dell’inchiesta di TV7 è Pierluigi Rainone, dell’Associazione VAS – Verdi, Ambiente e Società, che dichiara un’inesattezza: i mezzi che tutti i giorni confluiscono in discarica sono circa 70 e non 200 come sostenuto da Rainone e sottolineato dalla giornalista. La strada percorsa dai camion inoltre appare bianca per la presenza di calce che costituisce il 60% delle scorie di acciaieria. Proprio nell’ambito delle attività realizzate da AST nell’area della discarica, va evidenziata l’installazione di un secondo dispositivo “lava ruote” per i mezzi in uscita dalle zone in esercizio della discarica, insieme alla realizzazione di un nuovo sistema di dosaggio per l’acidificazione del percolato, la sistemazione e l’asfaltatura delle strade interne a servizio della discarica e altri interventi di regimentazione idraulica tra le due zone “A” e “B” della discarica.

Così come è utile sottolineare che la parte della discarica di proprietà di AST si trova su terreni preventivamente impermeabilizzati, come da autorizzazioni ricevute nel tempo a seconda delle leggi correnti. L’Acciaieria ha provveduto a mettere in sicurezza anche le aree utilizzate prima che entrassero in vigore le norme suddette, mentre è la vecchia discarica comunale RSU ad essere ancora carente da questo punto di vista.

Rimane infine da capire perché un progetto di rinaturalizzazione di una discarica in Italia non debba godere della minima credibilità, mentre esempi da ogni altra parte del mondo dimostrano che non solo è possibile, ma può davvero anche molto utile per l’ambiente. Partiamo dall’Hiriya Recycling Park, uno dei posti più esclusivi di Tel Aviv, dove i bambini giocano nel verde mentre i genitori si godono una delle viste panoramiche più belle della città, fino a qualche anno fa riservata ai gabbiani in cerca di cibo tra i rifiuti. Qui infatti dal 1952 al 1999 si sono accumulati tutti i rifiuti della città israeliana: quasi cinquant’anni, durante i quali si è formata una vera e propria montagna che ha raggiunto i 450 mila mq e un’altezza di 60 metri. Non così sbalorditivo, se si considera che il sito ha ricevuto 3mila tonnellate di rifiuti al giorno fino al 2001, quando è iniziato il processo di conversione della montagna da discarica a parco. Così è nato quello che oggi è il più grande polmone verde dell’area metropolitana, l’“Ariel Sharon Park”, un modello di cambiamento ambientale per tutto il mondo.

Sempre nel 2001 anche New York ha deciso di chiudere la sua Freshkills Landfill. Attiva dal 1948 nel sobborgo newyorkese di Staten Island, riconosciuta come la più grande al mondo (890 ettari, circa 3 volte Central Park), la discarica della Grande Mela nel corso degli anni è arrivata a raccogliere quasi 29mila tonnellate di rifiuti al giorno. Il cumulo più alto ha superato i 200 piedi, come la Statua della Libertà, addirittura visibile dallo spazio. Eppure oggi anche Freshkills Landfill si sta trasformando in un modello di eco-parco attraverso un progetto di durata trentennale che dovrebbe terminare nel 2036. Lo stesso è accaduto in Spagna, con il parco Garraf, in Germania, con il parco paesaggistico dell’Emscher nel bacino della Ruhr e ancora in California con il Byxbee Park che si estende di fronte alla baia di San Francisco. Oggi anche l’Italia potrebbe comparire tra questi esempi positivi grazie al progetto di Andreas Kipar a Terni…