“Hans Memling, il maestro fiammingo odiato da Michelangelo” Vallora sulla Stampa

di Redazione Blitz
Pubblicato il 22 Dicembre 2014 - 13:29 OLTRE 6 MESI FA
"Hans Memling, il maestro fiammingo odiato da Michelangelo" Vallora sulla Stampa

Un ritratto di Hans Memling

ROMA – Alle Scuderie del Quirinale di Roma una grande mostra ripropone i ritratti di Hans Memling che influenzarono la grande pittura toscana del Rinascimento.

Scrive Marco Vallora sulla Stampa:

Anche se era noto il disprezzo di Michelangelo, nei confronti dei pittori cosiddetti Ponentini, nonostante cioè l’autorità vincolante del suo riverito maestro, il Vasari, in entrambi le sue Vite, non può far a meno di riconoscere l’autorevolezza raggiunta e l’influenza fiorentina di questo artista nordico.

Degli inizi di Memling si sa davvero pochissimo: nato in realtà vicino a Francoforte, in quella che oggi chiamiamo Germania, e credibilmente passato per Colonia, ove non può non aver subito l’influenza d’un pittore caratterizzante come il Lochner, dopo aver acquistato la cittadinanza di Bruges lì rimase per più di trent’anni. Se è vero che è uno dei padri riconosciuti della pittura fiamminga, difficile non rendersi conto di quanto sia stato importante per la nostra pittura, soprattutto toscana. Guardano a lui: il Ghirlandaio, innanzitutto (e la mostra romana mostra anche un confronto illuminante tra il suo Cristo Benedicente, macilento e sanguinante, e quello, quasi specchiato e doppiato, del Ghirlandaio, anche se la sensibilità pietistica è leggermente distante e più carnale) il Perugino, evidentemente (con prelievi ed echi letterali) e poi Fra Bartolomeno, Pinturicchio, Raffaello e per certi interpreti persino il Leonardo della Gioconda. Non c’è dubbio che quell’uomo con moneta, che molti pensano essere l’erudito Bernardo Bembo, padre di Pietro, che quasi ci sfida a trovare un virtuosismo illusionistico più convincente e coinvolgente, stabilisca come un modello di ritratto parlante ed empatico, che è assai diverso da quello classico italiano, pisanelliano, di profilo imperiale, in stile medaglia.

È un ritratto che, con vari espedienti, appunto illusionistici (il torso che leggermente ruota verso di noi, come accorgendosi della nostra intrusione curiosa, le mani che spesso si allungano verso lo spettatore coinvolto, o si posano compassatamente sul davanzale della cornice) è un poemetto visivo, vivo e dialogante («non gli manca che lo spirito, il fiato», assicuravano i contemporanei, come Bartolomeo Facio) che mette in contatto il mondo della finzione con quello della vita di chi guarda. Ed è quello che Michelangelo non perdona, stimolando non la testa, il cervello, ma i sensi, catturati. Di qui la sufficienza: «Piacerà alle donne, specialmente le più vecchie, come pure le suore, i monaci e le persone gentili che non possiedono il senso musicale della vera armonia. In Fiandra si dipinge, in verità, per ingannare la vista esteriore. Questa pittura è fatta soltanto di cenci, di case in rovina, di verzura, d’ombra di alberi, e di ponti e di fiumi (il che essi chiamano paesaggi) e qualche figura qui, qualche altra là»(…)