Pompei di gala, è giusto finanziare gli scavi con cene e feste private?

di Daniela Lauria
Pubblicato il 1 Ottobre 2013 - 14:35 OLTRE 6 MESI FA
Pompei di gala, è giusto finanziare gli scavi con cene e feste?

L’Anfiteatro di Pompei

ROMA – E’ giusto finanziare il sito archeologico di Pompei con feste e cene di gala? Se lo domanda Paolo Conti sul Corriere della Sera premettendo però che l’affitto dei beni culturali per cene e manifestazioni private è ormai abitudine consolidata in Italia. Così come lo è in America: il Metropolitan Museum di New York ospita cene di gala da tempo immemore e nessuno si scandalizza.

La questione prende spunto da un caso recente: il 27 settembre l’Anfiteatro di Pompei ha ospitato una cena organizzata per il decimo congresso del gruppo agenti Fondiaria-Sai. Costo: 15 mila euro versati nelle casse della Soprintendenza. Ma l’evento documentato e trasmesso sul sito di You Reporter ha sollecitato l’attenzione dell’architetto Antonio Irlando, responsabile di Osservatorio Patrimonio Culturale che subito ha inviato un documento al ministro Massimo Bray:

“Una cena privata nell’arena dell’anfiteatro di Pompei, luogo simbolo dell’area archeologica vesuviana, è il modo giusto per valorizzare gli scavi e fare incassare qualche migliaio di euro alla soprintendenza o piuttosto è il modo peggiore per svendere e ridicolizzare un bene pubblico tutelato dallo Stato e riconosciuto dall’Unesco quale patrimonio dell’umanità?”, si domanda Irlando.

“La Dichiarazione di Segesta, adottata dal Consiglio d’Europa nel 1995 – spiega l’architetto – ha fissato le linee guida per la salvaguardia e l’utilizzo di antichi luoghi di spettacolo del Mediterraneo, dove non sembrano contemplate cene private nel bel mezzo dell’arena”.

“Altro che valorizzazione del monumento – conclude Antonio Irlando – qui si sta amplificando a dismisura l’incapacità di tutelare e valorizzare culturalmente un patrimonio pubblico a favore di privilegi privati che sono appannaggio di chi per una serata, pur di sentirsi il padrone dell’anfiteatro, è disposto a spendere decine di migliaia di euro”.

Il caso fa scuola, perché se nel mondo anglosassone il mecenatismo dei privati, con banchetti e serate di gala, è tra le maggiori fonti di approvvigionamento per gli enti culturali, in Italia si fatica ad accettarlo. Paolo Conti richiama il recente caso di Ponte Vecchio a Firenze, affittato alla Ferrari a fine giugno scorso per 120 mila euro. All’epoca una valanga di critiche era piovuta in testa al sindaco Matteo Renzi e il ministro Bray non ebbe dubbi: fu “un errore”. Mentre oggi, sulla cena di Pompei, resta vago: “Affinché siano individuate le giuste norme per tutelare il patrimonio, al ministero sta lavorando una commissione che, tra gli altri impegni, ha il compito di valutare le regole del rapporto tra bene pubblico e privati. Spero di riuscire a portare personalmente i risultati di questo lavoro all’attenzione del dibattito parlamentare”. Crisi di governo permettendo, s’intende.

D’altronde un tariffario esiste già, Paolo Conti stila un listino:

Per affittare una sera il Loggiato di Brera (con apertura della Galleria d’arte) si va dai 3 ai 5 mila euro, più le spese per il personale (30-40 euro per ogni ora straordinaria di un custode). A Roma Palazzo Barberini (Galleria nazionale di arte antica) costa dai 6 ai 20 mila euro, dipende dallo spazio richiesto . La Reggia di Capodimonte naviga sui 20 mila euro. Un cocktail a palazzo Pitti non si organizza con meno di 7 mila euro. D’estate il Tempio di Segesta si può noleggiare con 5 mila euro. A Parma, una serata nella meravigliosa Biblioteca Palatina assicura alle casse circa 7 mila euro.

Si tratta solo di stabilire le regole di un riuso attento, garantito da accurati controlli, dei beni culturali, evitando di far perdere l’identità al luogo. E non c’è da scandalizzarsi.