“Il paravento rosa del turbopremier”, Daniela Ranieri sul Fatto Quotidiano

di Redazione Blitz
Pubblicato il 15 Aprile 2014 - 11:03 OLTRE 6 MESI FA
"Il paravento rosa del turbopremier", Daniela Ranieri sul Fatto Quotidiano

Matteo Renzi (LaPresse)

ROMA – Blitz quotidiano vi propone come articolo del giorno, martedì 15 aprile 2014, “Il paravento rosa del turbopremier” di Daniela Ranieri, sul Fatto, autrice di Aristodem, libro sui nuovi radical chic.

L’idea è geniale: fare una cosa talmente giusta, altrove scontata, che nessuno pensi sia fatta a proprio vantaggio e per scopi pubblicitari. Tralasciando per un istante che si tratta di uomini che danno il potere alle donne, il governo Renzi-Delrio quadra il cerchio: nessuno può essere contro l’idea di nominare donne ai vertici delle società pubbliche. Ma allora perché c’è un martellamento propagandistico sul tema, come fosse un giorno che tutte le donne devono festeggiare?

Peraltro, alle donne in questione non si fa un gran favore, a dare loro il comando di Eni, Enel, Finmeccanica e Poste, che nel senso comune sono rispettivamente: quelli che ti aumentano la bolletta, quelli hanno pagato tangenti, quelli che non ti recapitano buste a meno che non siano di Equitalia. Per di più proprio ora che si stanno tagliando gli stipendi. Le ferrovie, risanate da Moretti sulle spalle dei contribuenti, per fortuna non profumeranno di iris e limone, e i treni non avranno tende di merletto ai finestrini: ma dire donna al potere rende immediatamente tutto più sano, europeo, biologico, come mettere l’olio EVO dentro un panino McDonald’s.

Peccato che la parità di genere, che nei Paesi evoluti non è una questione da tempo (i generi, pare, sono 7, qualcuno dice 31), non garantisca trasparenza dei bilanci, operosità rivolta al bene comune, attenzione a consumatori e consumatrici.

Lo fa già di più l’intenzione, solo ora annunciata, di non nominare indagati e condannati (regola che per le cariche di governo non vale). Che tra questi incensurati ci siano donne e uomini dovrebbe essere pacifico, in una società naturalmente impostata sulle pari opportunità fin dalla scuola. Applicata, la parità di genere implica che in un gruppo di maschi e femmine siano presenti in egual misura brave persone e persone dappoco, persone che hanno fatto strada con mezzi onesti e non, facendo leva sulla propria capacità o sulle proprie aderenze col potere.

CHE LE DONNE debbano essere manager migliori e conferire alle aziende che guidano più eticità è un pregiudizio senza fondamento. È come dire che i neri ballano bene e gli svizzeri sono puntuali. Le manager messe ai vertici sono manager prima che donne. Se competenti, baderanno al profitto esattamente come i loro colleghi maschi. La presenza al governo di una donna come Barracciu confuta peraltro la tesi migliorativa: si può essere donne, avere pendenze con la giustizia, e nonostante ciò avere incarichi istituzionali senza per questo contribuire a un nuovo corso della politica.

Fissarsi sul 50% a ogni costo ricorda più l’urgenza scaramantica di fare il 14esimo a tavola che quella di avvalersi di competenze irrinunciabili. Una società migliore valorizza le differenze qualitative, non si appiattisce sulla mera parità numerica.

Renzi ha già mostrato di saper fare della presenza delle donne un atout del suo stile di governo, tanto da lasciare la lotta per le quote rosa alle pasionarie in bianco riservandosi di intestarsi, lui solo e senza vincoli di legge, la svolta progressista altrove già consolidata. Certo è una specie di parità che al ministero della Sanità non ci sia la nuova Levi Montalcini come al ministero della Cultura non c’è un Nobel per la letteratura. Così porre donne come capolista alle Europee anche a scapito del cosiddetto legame col territorio, se da una parte è un’idea rinfrescante alla faccia dei veleni correntizi, dall’altra indirizza l’elettore a votare un candidato che magari non avrebbe preferito.

PER LE POLITICHE è lo stesso, grazie a una legge elettorale fallata e potenzialmente antidemocratica. Certo Merkel mai si sognerebbe di vantarsi di favorire una donna. Renzi lo fa perché è un uomo; perché è abile; perché conosce le regole del marketing e cavalca quel sottile crinale del pregiudizio secondo cui una donna o non è all’altezza di un compito irragionevolmente ritenuto maschile, oppure è migliore in quanto del tutto disinteressata al potere e all’arricchimento personale in virtù di superiori doti spirituali. Discriminazione da una parte, pretesa di superiorità etica dall’altra (…)