Lorenzo Cremonesi sul Corriere della Sera: “Tra i cristiani nell’Egitto dell’odio”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 21 Ottobre 2013 - 13:25 OLTRE 6 MESI FA
Lorenzo Cremonesi sul Corriere della Sera: "Tra i cristiani nell’Egitto dell’odio"

Lorenzo Cremonesi sul Corriere della Sera: “Tra i cristiani nell’Egitto dell’odio”

ROMA – Chiese bruciate, immagini sacre deturpate, un lungo viaggio di Lorenzo Cremonesi tra i cristiani dell‘Egitto, accusati dagli estremisti islamici di complicità con il regime. L’articolo di Lorenzo Cremonesi è stato pubblicato sul Corriere della Sera oggi 21 ottobre. Blitz Quotidiano lo propone ai suoi lettori come articolo del giorno:

Ogni giorno ci sono manifestazioni dei Fratelli musulmani, ogni giorno appaiono nuovi slogan di minaccia sui muri. Per attraversare il centro della cittadina di Delga (100.000 abitanti musulmani, 20.000 cristiani) e raggiungere la zona degli edifici copti devastati dai pogrom del 14 agosto e sempre incombenti da allora, abbiamo fatto ricorso a Mohammad, un quindicenne musulmano che guida un moto-taxi. Il ragazzino entra con noi e il 34enne Abu Johannes in sua presenza si limita a esprimere la speranza in una «convivenza pacifica», si appella al dialogo. Sarà solo quando riusciremo ad allontanare Mohammad con un pretesto che il prelato si sentirà libero di parlare: «I pogrom musulmani restano oggi una minaccia incombente. Noi chiediamo la protezione dei militari. Loro restano posizionati alla periferia dei villaggi. Ma almeno ci sono. In agosto a Delga lo stato maggiore aveva inviato una quarantina tra tank e autoblindo, ora sono ne sono rimasti undici. Pochi, però almeno servono da deterrente».

E così dicendo entra nella Amba Abraham, la chiesa maggiore costruita cento anni fa, per mostrare il dipinto murale del Cristo dietro all’altare maggiore sfregiato dai colpi di spranga e dalle sassate. Un’immagine che al visitatore occidentale pare remota, fuori posto, troppo antica per essere autentica: ricorda dissacrazioni d’altri secoli, la furia iconoclasta, la caccia agli eretici, le devastazioni delle guerre di religione, i massacri delle Crociate, l’assedio di Malta, la caduta di Costantinopoli. Tuttavia è tragicamente reale. Da quella mattina del 14 agosto, quando i Fratelli musulmani incitarono ad attaccare i cristiani accusati di sostenere la giunta militare «golpista» guidata dal ministro della Difesa Abdul Fatah Khalil Al Sisi, che aveva defenestrato il presidente islamico Mohamed Morsi.
«In quel momento qualche cosa di antico e fondamentale si è spezzato nella lunga storia della coesistenza con i musulmani in terra d’Egitto. La lotta politica si è trasformata in confronto religioso. Non si tratta solo delle violenze. Piuttosto dei toni dello scontro. Un conto è inneggiare a Morsi contro i sostenitori di Sisi. Un altro bruciare case e negozi dei copti accusati dagli imam dei villaggi di non pagare le tasse che ai tempi degli emirati islamici venivano imposte a ebrei e cristiani, i cosiddetti Dhimmi, i non musulmani soggetti alla maggioranza», sostiene Suliman Shafiq, ricercatore e giornalista al quotidiano copto Watani . Non che la cosa sia nuova. È dai primi anni Settanta che la situazione è progressivamente peggiorata per i cristiani che, pur costituendo solo il 10 per cento degli oltre 80 milioni di egiziani, hanno avuto un ruolo preponderante nella costruzione dello Stato moderno dagli inizi del Novecento. «Fu il presidente Anwar Sadat a volere il rilascio dei primi nuclei di Fratelli musulmani arrestati da Nasser nel 1954. E loro da quel momento stabilirono il quartier generale a quattrocento chilometri a sud del Cairo, nelle province di Minia e Assiut, luoghi tranquilli di tradizionale civilizzazione copta», aggiunge.

Così dicendo ricorda l’elenco infinito di aggressioni intensificatesi dai primi anni Novanta assieme agli assassini dei farmacisti, dei dottori, specie dei ginecologi sospettati di infangare l’onore delle donne musulmane. Violenze peggiorate in seguito alla rivoluzione del 2011. A suo dire nel periodo della presidenza Morsi i cristiani uccisi sarebbero stati una settantina e 24 le chiese devastate, di cui tre demolite. Cui si aggiungerebbero i 27 morti da luglio, oltre a 101 tra chiese, scuole ed edifici cristiani vandalizzati, dei quali 22 in modo gravissimo. Manca ancora un censimento completo delle abitazioni, botteghe e proprietà private di cristiani distrutte. A testimonianza del permanere della tensione, tre persone, tra cui una bambina di 8 anni, sono state uccise ieri sera davanti a una chiesa copta nei sobborghi del Cairo, dove si celebrava un matrimonio. A fare fuoco, uomini mascherati a bordo di una moto, che hanno anche ferito una decina di fedeli.
A Minia venerdì scorso i cristiani stavano chiusi in casa a seguire con preoccupazione le marce dei Fratelli musulmani per le strade dopo le preghiere tradizionali nelle moschee. Urla, minacce, fughe veloci di auto: solo un pugno di boyscouts restava di guardia agli edifici anneriti dalle fiamme. A riceverci nella cattedrale maggiore saccheggiata e completamente bruciata è il vescovo Macarious. «In genere i musulmani mirano a distruggere gli edifici, le Chiese come simbolo, non vogliono uccidere i cristiani», afferma. Lui stesso è tuttavia uscito miracolosamente indenne da un’aggressione solo quattro settimane or sono. Racconta: «Assieme a quattro diaconi e un sacerdote stavamo visitando la famiglia di un giovane della nostra comunità assassinato due anni fa quando alcuni estremisti ci hanno ordinato di andare via. Al nostro rifiuto hanno sparato contro l’abitazione e tirato un paio di bombe a mano». Conseguenze? «Chi può lascia i villaggi e scappa nelle grandi città». I rimedi? «Una maggior presenza di esercito e polizia. Troppi egiziani hanno armi. E da oltre due anni si sono sentiti liberi di usarle».