CONVENTION DEMOCRATICA: TRIONFO DI OBAMA, INCORONATO DAI CLINTON

Pubblicato il 27 Agosto 2008 - 23:55 OLTRE 6 MESI FA

Obama_biden_convention Pace è fatta. I Clinton hanno irrevocabilmente seppellito le critiche e i malumori e hanno dichiarato lealtà a Barack Obama. La prima a farlo è stata Hillary Clinton, martedì, con un appassionato appello all’unità del partito, ripetuto nel pomeriggio di ieri quando a voce ferma ha proposto di interrompere la conta dei voti dei delegati e di dare la ”nomination” a Obama per acclamazione. E poi ieri sera è stata la volta di Bill Clinton, che dal palco del Pepsi Center ha sfoderato tutta la forza della sua personalità carismatica per sostenere Obama e dichiararlo ”pronto a diventare presidente”.

Il tripudio che ha salutato Hillary e Bill dimostra quanto la coppia rimanga stabilmente radicata nel cuore dei democratici. Pace è fatta, è vero. E stasera, dopo il discorso finale di Barack Obama, la Convention democratica di Denver giungerà alla sua conclusione. Tutti torneranno a casa a fare campagna per il voto del 4 novembre. Ma è forte la sensazione che se Obama non ce la farà, il ”partito Clinton” all’interno del partito democratico sarà pronto a riprovarci nel 2012.

Non che siano in molti, nel brulicante microcosmo della Convention, a sentire del pessimismo. La sera di ieri, con il discorso di Clinton e il discorso di Joe Biden, il vice di Obama, è stata universalmente giudicata una serata particolarmente di buon augurio per le sorti del ticket Obama-Biden a novembre. L’atmosfera era elettrizzata, non solo grazie all’eterna star Bill Clinton, ma anche a Joe Biden. Se qualcuno aveva ancora dei dubbi sul perché Obama abbia scelto questo senatore con 30 anni di esperienza politica per stargli al fianco in una campagna tutta improntata al ”cambiamento”, ebbene ieri sera ha capito: Joe unisce in sè due aspetti diametralmente opposti, è allo stesso tempo uno statista di grande levatura, ma è anche un uomo semplice, proveniente da una famiglia modesta, tirato su da una madre irlandese dal cuore grande e dal pugno di ferro.

Biden ha raccontato che da bambino balbettava, e la mamma lo consolava con tenerezza: ”Joe, non preoccuparti, è solo che il tuo cervello funziona troppo velocemente e la tua bocca non gli sta dietro”. Ha raccontato di come i suoi compagni di classe bulli lo avessero malmenato, e di come la madre gli disse severa: ”Joe, ora tu vai fuori e gliele dai di santa ragione, sennò non potrai mai rimettere il naso fuori casa”. Ha raccontato il dolore di aver perso la prima moglie e la figlioletta di soli tredici mesi, uccise in un incidente automobilistico causato da un camionista ubriaco, e di come anche allora sua madre gli venne in soccorso, con la fede: ”Joe, il Signore non permette che agli uomini capitino dolori che non siano in grado di sopportare con la preghiera e il coraggio”.

Il quadro insomma di una famiglia di estrazione popolare, non molto sofisticata, ma profondamente religiosa e unita: proprio lo specchio di quella fetta di elettorato che alle primarie si era schierato con Hillary e che guarda a Obama con diffidenza. Joe ha detto loro: sono uno di voi, potete fidarvi di me, se io stimo Obama lo potete stimare anche voi. Ma allo stesso tempo, Biden ha parlato a un’altra fetta di elettorato, quella che guarda a Obama con diffidenza non tanto perché è nero, ma perché non lo considera un leader abbastanza sperimentato. A costoro ha ricordato il ”colossale fallimento” della presidenza Bush in politica estera. E così Biden è partito all’attacco anche di John McCain, il rivale repubblicano che basa buona parte della sua campagna nel criticare Obama come un peso piuma pericolosamente ignorante di politica estera. Biden è collega al Senato di McCain e i due sono stati finora anche buoni amici, cosa che il democratico ha ieri ricordato senza reticenze. Ma l’amico-rivale, che pure in guerra compì ”atti di vero eroismo”, ha recentemente commesso secondo Biden l’errore di ”schierarsi il 95 per cento delle volte con George Bush”. E da qui l’affondo: ”La politica estera di Bush e McCain ci ha fatto precipitare in una profonda buca, e ora abbiamo pochi amici che vogliano aiutarci a uscirne”.

Clinton e Biden avevano ieri sera un mandato preciso: convincere gli americani che Obama non è un’incognita, un mocciosetto presuntuoso ed elitario che si muove in un mondo che conosce poco. Clinton ha ricordato come i repubblicani dicessero lo stesso di lui quando ricevette la nomination democratica nel 1992: ”Dicevano che ero troppo giovane ed inesperto, gli abbiamo dimostrato che avevano torto. E ora hanno torto di nuovo: Barack Obama è pronto a diventare presidente, è dalla parte giusta della storia”. Biden ha ricordato quante volte negli ultimissimi anni Obama abbia ”dimostrato saggezza” in materia di politica estera, per concludere: ”I tempi che stiamo vivendo richiedono qualcosa di più di un buon soldato, richiedono un leader saggio”. La stoccata contro l’amico McCain, il cui passato di eroico soldato è noto al Paese, è dura. Ma nella sala del Pepsi Center nessuno di scandalizza, anzi. Da settimane, se non da mesi, i democratici hanno visto con dispiacere la campagna di McCain farsi più agile e smaliziata, e adottare uno stile aggressivo ogni giorno più graffiante.

Da tempo chiedevano reazioni ”forti” anche dai manager della campagna di Obama. Ma questi si è sempre sottratto al richiamo. Ora è diventato chiaro che i compiti saranno divisi così: ai Clinton spetterà unire il partito, a Biden spetterà fare il ”mastino” contro i repubblicani, a Obama toccherà fare il leader ispirato che vola alto e mobilita le folle. Ieri sera Clinton e Biden sono stati esemplari. Stasera tocca a Obama: comparendo a sorpresa sul palco alla conlusione del discorso di Biden ieri sera, Obama ha ricordato ai suoi sostenitori l’appuntamento di stasera allo stadio Invesco, dove si aspetta una folla record di 75 mila persone.