OBAMA E I CLINTON: UNA ”PACE” INCERTA

Pubblicato il 27 Agosto 2008 - 23:32 OLTRE 6 MESI FA

La Stampa pubblica un commento del suo inviato a Denver Maurizio Molinari sulla incerta ”pace” tra i Clinton e Obama. Lo riportiamo di seguito:

Barack Obama ottiene per acclamazione dai 4.400 delegati della Convention democratica la prima nomination presidenziale assegnata a un afroamericano nella storia degli Stati Uniti ma ciò avviene al termine di una giornata che ha visto protagoniste le mosse non troppo amichevoli di Bill e Hillary Clinton.

La decisione del parterre del Pepsi Center è arrivata a conclusione di una maratona incentrata su Jeff Berman e Craig Smith, gli sherpa cui Barack e Hillary avevano affidato il delicato negoziato su come far votare i delegati. Si è iniziato a esprimere i suffragi nel chiuso degli alberghi, poi si è continuato in pubblico nel Pepsi Center fino ad arrivare a 1.549 delegati per Obama e 341 per Hillary, quando la parola è passata allo Stato di New York e proprio l’ex First Lady ha proposto «con gli occhi al futuro» l’acclamazione, suggellando quell’«unità del partito» con la stessa frase usata la sera prima: «Obama è il nostro candidato e deve essere il nostro presidente». Il «yeah» del parterre ratificato da Nancy Pelosi, presidente dell’Assemblea, ha concluso lo storico momento.

L’estenuante negoziato condotto dagli sherpa clintoniani è però servito a Hillary per ribadire che c’è il suo avallo dietro la nomination. Mentre le trattative erano in att, è stato Bill Clinton a farsi sentire con una dichiarazione che ha fatto sobbalzare Obama in arrivo dal Montana: «C’è un candidato X con cui si condivide tutto ma non è in grado di mantenere le promesse e un candidato Y con il quale si condivide solo il 50 per cento ma manterrà gli impegni, per chi votate?» si è chiesto l’ex presidente tracciando un parallelo che ha evocato la differenza fra Obama e il repubblicano John McCain. «La questione della capacità di mantere gli impegni terrà banco nei prossimi anni» ha aggiunto Bill, forse riferendosi a quanto detto dalla moglie alla Convention in merito alla richiesta a Obama di «firmare la legge che renderà universale il diritto alla sanità pubblica».

Lo stesso ex presidente durante un pranzo al Brown Palace ha rincarato la dose: «Ascoltando Hillary l’altra sera c’è chi si è pentito di non averla sostenuta». E ancora: «Hanno voluto far passare Hillary come una candidata dell’establishment dimenticando che non si era mai candidata prima alle primarie». La ciliegina sulla torta è arrivata con la comunicazione al team di Obama che per sopraggiunti impegni Bill non potrà essere presente stasera per ascoltare il discorso di accettazione della nomination, che sarà pronunciato da un palco costruito come un tempio greco. I portavoce di Obama hanno celato con difficoltà l’irritazione per frasi e azioni di Bill, che ieri notte ha poi segnato la terza giornata della Convention con un discorso sulla sicurezza nazionale seguito da quello del candidato vice, Joe Biden.

La morsa dei Clinton su Obama nel giorno in cui è iniziata l’ultima fase della campagna democratica per la Casa Bianca ha consentito ai repubblicani di affondare i colpi. In prima fila Rudolph Giuliani, l’ex sindaco di New York arrivato a Denver con il compagno di partito Mitt Romney, che ha toccato un nervo scoperto dei liberal: «Con il discorso di martedì sera, Hillary ci ha aiutato perché non ha ritrattato le accuse di inesperienza contro Obama lanciate durante le primarie». Non a caso gli Stati più contesi sono inondati da spot di McCain in cui si mostrano questi attacchi di Clinton a Obama per poi concludere «Hillary aveva ragione». Il timore della fuga di voti clintoniani verso il campo opposto – secondo i sondaggi il 27 per cento dei 18 milioni di elettori di Hillary sarebbe pronto a farlo – è tale da condizionare anche il calendario della campagna di Obama. Dopo aver accettato la nomination, Barack partirà assieme a Biden per un tour in tre Stati in bilico che in due casi – Pennsylvania e Michigan – nel 2004 andarono ai democratici e solo nel terzo – Ohio – ai repubblicani. Barack insomma inizia il duello con McCain giocando in difesa: teme di perdere in casa.