OBAMA-MCCAIN: LA FORZA DELLA DEMOCRAZIA AMERICANA

Pubblicato il 25 Agosto 2008 - 23:42 OLTRE 6 MESI FA

Il Corriere della Sera pubblica un commento di Massimo Gaggi sui due candidati alla presidenza degli Stati Uniti intitolato ”Obama-McCain i due outsider”. Lo riportiamo di seguito:

”A Denver le facce scure dei delegati pro Hillary costretti a inneggiare a Obama. A Minneapo-lis, la prossima settimana, l’adunata di un partito chiamato a incoronare McCain, un candidato che non ama. Quelle del 2008 sono le convention del mal di pancia. Ma il malessere degli apparati è anche una bella prova di vitalità della democrazia americana.

Se ne parla poco perché i due leader non hanno interesse a sottolineare questa circostanza, ma adesso che parte lo scontro finale e che tutti cercano i punti di contrapposizione tra personaggi con storie e profili molto diversi, vale, invece, la pena di sottolineare il dato che più li accomuna: Obama e McCain non sono i rappresentanti di un potere consolidato, ma due outsider che l’hanno spuntata sui rispettivi establishment grazie al voto popolare. Non è poco in un mondo nel quale si vota sempre di più, ma le democrazie troppo spesso sono solo formali o «limitate». All’ombra della globalizzazione si diffondono oligarchie, leader che mescolano populismo e paternalismo autoritario: regimi spesso sorretti dai centri di potere economico o da qualche istituzione forte (come la rete degli ex agenti del Kgb in Russia).

Ma anche nei Paesi con una struttura democratica consolidata e un efficace sistema di garanzie, al potere si arriva spesso per cooptazione o sulla base dei rapporti di forza nella dirigenza centrale dei partiti. Basti pensare, restando in Italia, alle primarie «pilotate» del Pd o al centrodestra solidificato attorno al potere economico e alle capacità mediatiche di Silvio Berlusconi.

Rispetto a quello che accade nel mondo, il senatore nero dell’Illinois e il maverick dell’Arizona, imprevedibile e insofferente di ogni disciplina di partito, sono due significative diversità: due battitori liberi che i rispettivi partiti hanno a lungo osteggiato.

L’establishment democratico voleva Hillary Clinton. Obama l’ha spuntata sfruttando la sua popolarità, il rapporto coi giovani e usando i circuiti di Internet al posto di quelli del partito. Qualcuno sostiene che il «regicidio» non sarebbe stato possibile senza l’appoggio di un potere nuovo: quello dell’industria hi-tech, che sarebbe il nuovo establishment. Non è proprio così: la Silicon Valley ha sicuramente appoggiato Obama, l’ha aiutato a sfruttare il web in modo più efficace, ma i giovani imprenditori libertari e un po’ anarchici dell’informatica non rappresentano (ancora) un gruppo di potere coeso, capace di condizionare davvero la politica di Washington.

Quanto ai capi repubblicani, su una cosa erano d’accordo: non volevano uno come McCain, sempre pronto a prendere le distanze dal partito, ad attaccare Bush e a fare accordi col «nemico» democratico. Pur di sbarrargli la strada, la Casa Bianca era arrivata ad appoggiare il mormone Mitt Romney. Anche la lobby industriale gli era ostile perché McCain si professa «mercatista», ma in Senato per anni ha bastonato le imprese che secondo lui hanno abusato della loro libertà, comportandosi in modo rapace: farmaceutica, tabacco, petrolieri e le aziende aerospaziali che hanno cercato accordi «sottobanco» col Pentagono. Ma gli elettori delle primarie hanno sconfitto gli apparati che si sono dovuti rassegnare all’inevitabile. Se alle convention verrà rilevato un deficit di entusiasmo, se ci sarà qualche contestazione, prendetelo per un segno di forza, non di debolezza, della democrazia americana”.