OLIMPIADI PECHINO, CALA IL SIPARIO: APPUNTAMENTO A LONDRA NEL 2012

Pubblicato il 24 Agosto 2008 - 09:49 OLTRE 6 MESI FA

Olimpiadi_chiusura_2 L’ultima giornata dei Giochi si è chiusa con la medaglia d’oro per l’Italia di Roberto Cammarelle, ma la Cina rimane sempre saldamente in testa al medagliere olimpico: aveva dichiarato l’obiettivo dei 100 podi e l’ha raggiunto giusto giusto con il primo posto negli ori, 51 contro i 36 degli Usa, anche se i nordamericani mantengono la supremazia dei podi, 110 contro 100. I prossimi giochi si svolgeranno a Londra nel 2012.

Nella hit parade olimpica la Russia è terza davanti ad una imprevedibile Gran Bretagna e alla Germania. L’Italia è nona con 28 medaglie (rispetto alle 32 di Atene 2004) davanti alla «nemica»Francia per la prima volta dopo 24 anni che però, nel totale, arriva a 40 podi, mentre la Spagna è 14/a alle spalle della sorprendente Giamaica di Bolt. In totale sono state comunque 87 le nazioni che sono riuscite a guadagnarsi una medaglia.

Il bilancio di un’Olimpiade non è però tracciato solo dai numeri delle medaglie, ma anche dai momenti importanti che si sono vissuti, dalle emozioni provate e dai protagonisti, in questo caso tre, ognuno con caratteristiche diverse: spavaldo, leggendario, inconsolabile. Usain Bolt, Michael Phelps e Liu Xiang sono i tre volti delle Olimpiadi di Pechino. Ognuno, a modo suo, ha lasciato il segno nella 29esima edizione dei Giochi Moderni. Nel «Nido d’uccello» si è schiuso l’incredibile talento del giamaicano Bolt, al Watercube si è provveduto a scrivere la nuova storia delle Olimpiadi, quella che si mischia alla leggenda di Phelps. Se gli Stati Uniti possono coccolarsi quello che a oggi è il più grande atleta di ogni tempo, poco più giù c’è un Paese che si affaccia sul Mar dei Caraibi e che vanta orgogliosamente l’uomo e le donne più veloci del mondo.

Bolt è esploso come una «rock star» per carisma e forza. In molti aspettavano la sfida sulla distanza regina, i 100 metri, per conoscere il nome dell’uomo più veloce del mondo. Sfida che si è consumata ancor prima dello starter per lo statunitense Tyson Gay, fuori dalla semifinale per qualche problema fisico. Lontano dal podio l’altro giamaicano Asafa Powell (quinto) che conferma la sua idiosincrasia agli appuntamenti che contano.

Bolt invece c’era eccome, in tutta la sua grandezza. Cento metri esplosivi corsi in 9«69 per il nuovo record del mondo che ha polverizzato il 9»72 del 31 maggio che già gli apparteneva. Una vittoria schiacciante ottenuta lasciandosi andare ai festeggiamenti ancor prima della linea del traguardo: braccia larghe e colpi sul petto. Una performance che lo ha eletto a uomo-simbolo e che ha lasciato a bocca aperta tutto il mondo.

L’uomo più veloce del mondo ha poi ribadito il suo strapotere dominando anche la finale dei 200 metri, la gara da cui è partito il suo percorso nell’atletica. Bolt ha chiuso con il tempo di 19«30, migliorando lo storico 19»32 stabilito da Michael Johnson alle Olimpiadi di Atlanta 1996 e guadagnandosi un posto al fianco di Carl Lewis, l’ultimo della storia (a Los Angeles 1984) a firmare la doppietta 100 e 200 metri ai Giochi.

Un primato che si è ulterioremente impreziosito con il terzo oro conquistato nella staffetta 4×100. Grazie anche al suo contributo in qualità di terzo frazionista la selezione giamaicana (completata da Nesta Carter, Michael Frater e Asafa Powell) ha infatti conquistato il titolo olimpico con il nuovo primato iridato di 37«10. »Sono il numero uno« gridava dal tartan del National Stadium, balli e lunghi giri di campo trionfalistici.

Sentirsi grande senza falsa modestia che piaccia o meno al Comitato Olimpico Internazionale che ha bacchettato il giamaicano per i suoi comportamenti, giudicati dal presidente Jacques Rogge irrispettosi degli avversari. Accuse alle quali il campionissimo ha risposto donando 50mila dollari alla Croce Rossa cinese per i bambini sopravvissuti al terremoto nel Sichuan. Con la stessa sprezzante faccia tosta con cui ha risposto a chi ha sollevato dubbi sull’uso di doping da parte degli atleti giamaicani.

Dalle braccia larghe di Bolt, ai pugni sbattuti nell’acqua dell’altro «extraterreste» sbarcato a Pechino questa estate. Per Phelps non ci sono più aggettivi, è sufficiente pensare che con le otto medaglie d’oro vinte in questi Giochi occuperebbe una posizione di tutto rispetto nel medagliere. Il 23enne di Baltimora è già una leggenda, i libri di storia sono stati riscritti e un giorno probabilmente troveremo il suo nome persino nel dizionario dei sinonimi, alla voce record.

Otto medaglie d’oro in una sola olimpiade, una in più di Mark Spitz che nel 1972 a Monaco si fermò a sette. Trentasei anni. Tanti ce ne sono voluti prima che un altro atleta riuscisse a eguagliare e superare il clamoroso record del nuotatore statunitense. Otto volte sul gradino più alto del podio, sette volte ottenendo il nuovo record del mondo. Il »Kid« di Baltimora è passato direttamente dalla storia alla leggenda, conquistando la staffetta della 4×100 mista, i 400 misti, 4×100 stile libero, 200 stile libero, 200 farfalla, 4×200 stile libero, 200 misti e 100 farfalla.

Già ad Atene 2004 Phelps aveva sfiorato l’impresa conquistando sei medaglie d’oro (100 e 200 farfalla, 200 e 400 misti, 4×100 mista e 4×200 stile libero) e due di bronzo (200 stile e 4×100 stile) per un totale di 14 metalli pregiati, un record assoluto che già gli apparteneva avendo cancellato nei giorni scorsi il precedente record di nove ori olimpici assoluti conquistati in più edizioni sempre da Spitz, dallo sprinter statunitense Carl Lewis, dalla ginnasta sovietica Larisa Latyina e dal mezzofondista finlandese Paavo Nurmi. Un risultato «epico», ha commentato lo stesso Spitz: «È il più grande atleta che questo pianeta abbia mai visto, mi ha lasciato estasiato».

Il prossimo obiettivo di Phelps è proprio la ginnasta sovietica capace di vincere nell’arco di tre edizioni delle Olimpiadi estive tra il 1956 e il 1964 diciotto medaglie (9 d’oro, 5 d’argento e 4 di bronzo), primatista assoluta. Con le otto medaglie d’oro conquistate a Pechino, il nuotatore statunitense si è portato a quota 16 medaglie complessive e fra quattro anni a Londra potrà cercare di conquistare un altro incredibile record. Un dominio incontrastato quello del ragazzo del Maryland, messo in dubbio solo dal contestato oro nei 100 farfalla, conquistato per un solo centesimo sul serbo Milorad Cavic.

Chi non sorride è l’idolo di casa Liu Xiang. L’Olimipiade dell’uomo copertina dello sport cinese, ex primatista mondiale dei 110 ostacoli, si è chiusa in una smorfia di dolore «insostenibile» che lo ha costretto al ritiro. Liu ci ha provato fino alla fine ma il problema al tendine d’Achille del piede destro è stato più forte della voglia di vittoria. Al punto da fargli voltare le spalle nelle batterie dei 110 ostacoli, quelli che nelle speranze di oltre un miliardo di connazionali avrebbero dovuto aprirgli la strada verso la conferma del titolo olimpico conquistato nel 2004 in Grecia.

Claudicante nella sala di riscaldamento, stizzito al punto da sferrare un calcio a un muro, l’ex primatista del mondo ha cercato fino all’ultimo di resistere al dolore. Problema «vecchio di sei o sette anni» secondo il suo coach, Sun Haiping, che al pari di numerosi tifosi non ha trattenuto il pianto nella conferenza stampa organizzata pochi minuti dopo il ritiro dai Giochi del suo pupillo.

Liu ha gettato la spugna dopo una falsa partenza di un altro atleta. Prima lo scatto stentato, poi il numero di gara strappato dalla coscia ed il rientro negli spogliatoi nell’improvviso silenzio del Nido d’Uccello, lo stadio che nei piani avrebbe dovuto fare da sfondo al suo secondo titolo olimpico in carriera. I vertici tecnici e dirigenziali del mondo sportivo cinese hanno da subito cercato di far comprendere a un’intera popolazione i problemi insormontabili incontrati da Liu.

L’atleta il giorno dopo ha chiesto «scusa e perdono» a tutto il popolo cinese per la delusione che è stata comunque attenuata dall’ampio bottino che ha sancito la vittoria nel medagliere della Cina (Stati Uniti ampiamente superati).

Anche il cubano Angel Matos resterà nella storia di queste Olimpiadi cinesi, sicuramente non per le sue gesta sportive. Lo specialista del taekwondo, categoria -80 kg, si è praticamente messo lo spirito Olimpico sotto le scarpe scatenando la sua ira dopo essersi visto squalificare nella finale per il bronzo. I calci e i pugni ai danni degli arbitri sono valsi la squalifica a vita per Matos e il suo allenatore, oltre a un posto nelle pagine nere dello sport a cinque cerchi.