Alessandro Di Battista, leader camaleonte: il padre fascista, Che Guevara, la parrocchia, Casaleggio

di Antonio Sansonetti
Pubblicato il 8 Settembre 2016 - 11:13 OLTRE 6 MESI FA
Alessandro Di Battista, leader camaleonte: il padre fascista, Che Guevara, la parrocchia, Casaleggio

Alessandro Di Battista, leader camaleonte: il padre fascista, Che Guevara, la parrocchia, Casaleggio (l’articolo di Jacopo Jacoboni su La Stampa)

Alessandro Di Battista, avrebbe cantato Jovanotti “è una grande Chiesa, che passa da Che Guevara e arriva fino a madre Teresa“. In quello che potrebbe essere il prossimo frontman del Movimento 5 Stelle, complice la luna calante di Luigi Di Maio e il sostegno crescente di Beppe Grillo, c’è una moltitudine di riferimenti da far impallidire gli album di figurine di Walter Veltroni (quello del tic inclusivo “ma anche”).

C’è un padre, Vittorio Di Battista, che di sé ha sempre detto “non sono di destra, sono fascista”. Amato e odiato, è parte integrante di quella che il Sassaroli di Amici Miei avrebbe definito la “catena di affetti” di “Dibba”: il quale, racconta Jacopo Jacoboni sulla Stampa:

dicono sia legatissimo alla madre e alla sorella Titti, che fa l’insegnante di educazione fisica. Sono originari di Civita Castellana, nel viterbese, e nella casa di papà la prima cosa che trovi, entrando, è un busto di Benito Mussolini. Non doveva essere facile invitare gli amici a casa.

Come dal padre fascista si arrivi a Che Guevara lo spiega Jacoboni: “Passando per madre Teresa“, cioè per la lunga esperienza di Di Battista come catechista nella parrocchia dove andava a pregare Aldo Moro.

Ci sono moltissimi dettagli della vita di «Dibba» che non sono così tanto noti, e delineano i tratti di un camaleonte abbastanza incredibile. Nasce a Vigna Stelluti, quartiere tendente abbastanza a destra, da una famiglia benestante sì, ma non ricca […]

Se dovessimo dire un’esperienza fondativa è però nella parrocchia, non nella destra. Dibba prende fin da ragazzo a frequentare assiduamente Santa Chiara, in piazza dei Giochi delfici (per i cultori della materia, la stessa parrocchia dove Aldo Moro si fermava a pregare, e dove le Br, raccontò Barbara Balzerani, pensarono a un certo punto di sequestrarlo; ma questa è un’altra èra). In Santa Chiara, dove transita anche Marianna Madia (in posizione defilata), il giovane fervente cattolico diventa a modo suo un personaggio, uno dei due catechisti, in quel periodo, l’altra catechista era la moglie dell’ex governatore di Bankitalia Fazio.

Oltre alla parrocchia c’è il calcio: da buon ragazzo cresciuto a Roma Nord, Di Battista tifa Lazio (vedi recente foto in curva). Telegenico? Lo deve anche al suo curriculum – tipo Fiorello – di animatore nei villaggi turistici in Calabria e in Sicilia. Ma Che Guevara? Lo si deve allo zio del “Dibba”, che ha un’associazione di volontariato e lo introduce nel “terzo settore”.

Finché a 25 anni il futuro leader parte – con ragazza al seguito – per un viaggio di un anno nel Centro-Sudamerica, dal Guatemala alla Colombia. Jacoboni mostra come Di Battista sappia cambiare pelle molto più velocemente e drasticamente del “cittadino” medio. È, in questo, un politico nato:

Si innamora di quei posti e delle loro incredibili storie. Torna e, naturalmente, s’atteggia. Comincia a suggerire di interessarsi a Che Guevara, o a Marx, a gente che magari l’aveva letto a 17 anni. È così, Alessandro: tocca una cosa e comincia a raccontarsi di esserne esperto da una vita. «Non vi dovete mettere i jeans, sono sfruttamento del capitale», dice ai ragazzi che trova tornando; gente magari un po’ più di sinistra di lui. Dibba è così.

Perché Che Guevara è la penultima stazione nella carriera di Di Battista. L’ultima, decisiva, è Gianroberto Casaleggio:

Quando diventa deputato confida a un nostro amico: «Qua dovremo far fuori metà dei deputati che abbiamo. Su questa roba dei rimborsi cadranno tanti». Sembra ora di sentire non il Che, ma Casaleggio.

Come l’ha conosciuto? Li introduce Mario Bucchich, uno dei soci originari dell’azienda. Casaleggio incontra Dibba intorno al 2011. Gli piace, quel ragazzo. Gli offre tremila euro per andare in Colombia e scrivere un libro che poi loro, con l’editrice Adagio, pubblicheranno, «Sicari a 5 euro». Doveva fare un’altra esperienza in Portogallo, parte, ma mentre è lì lo richiamano. «Ti vuoi candidare?».

A Roma era già stato candidato (trombato) nel suo municipio: questo gli permette di correre alle politiche. Ma gli attivisti romani poco lo conoscono, quando nel 2013 viene eletto; e quando risulta quarto a Roma, enorme è la sorpresa nella capitale tra militanti storici. “E questo chi è?”. Invenzioni casaleggiane.