Ciro Esposito e Davide Bifolco: destare pietà non è avere ragione

Pubblicato il 12 Settembre 2014 - 12:22 OLTRE 6 MESI FA
Ciro Esposito e Davide Bifolco: destare pietà non è avere ragione

Per Davide Bifolco si sono agitati sentimenti profondi ma spesso sbagliati

ROMA – Per il timore di passare per politicamente scorretti, o peggio per reazionari, rinunciamo a dire quel che pensiamo e che magari appare come un’evidente verità.  Le riflessioni di Michele Brambilla sulla Stampa di Torino danno corpo al pensiero di molti in Italia che la pensano esattamente così.

I casi cui fa riferimento Michele Brambilla sono due: l’uccisione di Ciro Esposito, tifoso napoletano in trasferta a Roma; l’uccisione di Davide Bifolco a Napoli. Che si tratti di due giovani napoletani potrebbe aprire la porta a ulteriori riflessioni su Napoli capitale della illegalità-

1. Il caso di Ciro Esposito. Il 3 maggio scorso, a Roma, prima della finale di coppa Italia Napoli-Fiorentina un tifoso napoletano – Ciro Esposito, di 29 anni – viene ucciso da un tifoso della Roma, Daniele De Santis, uno che bazzica gli ambienti dell’estrema destra. L’Italia della gente normale si chiede come mai, se la partita è Napoli-Fiorentina, ci siano scontri fra tifosi napoletani e romanisti: ma è una domanda oziosa perché il mondo degli ultrà non appartiene alla gente normale.  […]

Meno giusta e comprensibile è l’immediata santificazione. A Scampia – un posto dove non tutti hanno le carte in regola per chiedere giustizia – vengono celebrati i funerali al grido appunto di «giustizia!», e con grande esibizione di cartelli «Ciao eroe», rivisti poi più volte anche negli stadi. E questa è l’emotività: reagire d’istinto senza aspettare di sapere come sono andate davvero le cose.

 Infatti, una perizia del Racis dei carabinieri si conclude affermando che De Santis, l’uccisore di Esposito, «fu vittima di un tentato omicidio» e sparò solo dopo essere stato già ferito, forse a coltellate.

De Santis resta quello che è, tutt’altro che un gentleman, ma se così fossero andate le cose, si potrebbe perfino pensare a una legittima difesa. Stiamo dicendo che Ciro Esposito se l’è meritata? Ovvio che no. Ma possiamo dire quel che tutti sanno, e cioè che erano in corso scontri fra tifosi?

Magari Esposito in quegli scontri non c’entrava nulla ed era lì per caso: ma allora possiamo dire che è una vittima, ma gli «eroi» sono un’altra cosa?

2. Il caso di Davide Bifolco. Anche qui: come si fa a non avere pietà di un povero ragazzo che muore a 17 anni? Però un conto è la pietà, un altro è dare per scontata la versione dei fatti gabellata per vera dagli amici di Davide, e cioè che un carabiniere killer gli ha sparato alle spalle: così, per il gusto di accopparlo.

Versione che ha dato il pretesto, a molti abitanti del quartiere, di assaltare e bruciare per giorni e giorni le auto di polizia e carabinieri. E versione del tutto falsa, visto che l’altro ieri sono arrivati i risultati dell’autopsia e anche i consulenti della famiglia Bifolco dicono che il colpo è stato esploso di fronte, esattamente come aveva detto il carabiniere”.

Qui scatta l’analisi, con un fondo amaro di indignazione:

“Oltre all’emotività, entra in gioco il timore di passare per reazionari. Timore che impedisce di dire quello che tutti pensano, e cioè che se a Cuneo vai in tre su uno scooter ti fermano e ti sequestrano il motorino.

A Napoli invece non solo si può andare in tre, ma ci si può andare senza casco; e se non ti fermi a un posto di blocco i carabinieri – che sono lì perché stanno cercando un latitante, non per sport – devono dirti avanti prego, passate pure e scusate il disturbo.

È normale. Così come è normale assistere impotenti alla rivolta di piazza dei giorni seguenti, con le forze dell’ordine che non intervengono e noi che stiamo zitti: solo un prete ha avuto il coraggio di dire che, quando è la camorra ad ammazzare per sbaglio un ragazzo, a Napoli non va in piazza nessuno.

 “Discorsi da vetero leghisti? Tutt’altro. Chi vuol bene a Napoli pensa che, proprio a tutela dei suoi cittadini migliori (la maggioranza) non si deve tacere della piaga dell’illegalità diffusa; e si deve invocare l’intervento dello Stato, non la sua ritirata. Negli Stati Uniti è appena successo qualcosa di simile, e Obama ha deciso che se un poliziotto ha sbagliato pagherà; ma di fronte alle devastazioni e ai roghi non si assiste inermi, si interviene. In Italia invece, come nella «Don Raffaé» di Fabrizio De André, «e lo Stato che fa, si costerna s’indigna s’impegna poi getta la spugna con gran dignità»”.

Manca un punto, alla analisi di Michele Brambilla, quello relativo alla responsabilità dei giornali, che non deriva da esigenze di mercato, visto che a Napoli vendono solo il Mattino, Repubblica e il Corriere, più frammenti, per un totale di poche migliaia di copie.

Al fondo c’è una ostilità verso le forze dell’ordine sedimentata in decenni nel nostro animo, lo stesso brodo di cultura da cui emerse lo slogan né con lo Stato né con le Br. Non c’entra il risentimento verso altri corpi dello Stato o la macchina dello Stato, a cominciare dal Fisco, risentimento che unisce un po’ tutti gli italiani, da Nord a Sud, ovviamente tranne i dipendenti pubblici se non quando sono toccati i loro diretti interessi.

È una guerra tra poveri, che ha radici profonde nelle ondate di rivolte e di repressioni, nei secoli.

I giornali, specie on line, esaltando le voci, legittimano le voci della illegalità e le portano in alto. Meriterebbe una riflessione su dove sia il confine del giusto.