Italia-Austria: Alto Adige non divide più, 98 anni dalla guerra da 650.000 morti

Pubblicato il 27 Maggio 2013 - 06:49 OLTRE 6 MESI FA
cacciatori delle alpi

Cacciatori delle Alpi nella prima guerra mondiale

Non c’è molta voglia, in Austria, di riprendere il Sud Tirolo, l’italiano Alto Adige, fra le sue braccia; non c’è nemmeno molta voglia negli alto atesini di abbandonare le eccellenti condizioni che hanno ottenuto dagli italiani per tuffarsi nell’incerto abbraccio della mamma (o matrigna?) Austria; la Svp, il partito predominante in Alto Adige, fa quello che deve fare un partito che rappresenta una minoranza etnica: niente di diverso da quello che faceva uno dei padri fondatori della Repubblica Italiana, Alcide De Gasperi, quando, da cittadino dell’Impero Austro Ungarico, rappresentava a Vienna, lui trentino, gli interessi del Tirolo Italiano.

Sono considerazioni che acquistano una particolare attualità alla fine di maggio. C’è una data, il 24 maggio 1915, che una volta era scolpita con il punteruolo della retorica nel cuore degli italiani, la data dell’entrata nella prima guerra mondiale, una carneficina durata quasi quattro anni, dal 1915 al 1918.

Fu uno scempio: all’Italia costò 650 mila morti e 947 mila feriti; in tutta Europa furono 8 milioni e mezzo di morti e oltre 21 milioni di feriti.

Da quella guerra, l’intera Europa uscì schiantata, con una classe dirigente semi distrutta: certo i migliori, i più coraggiosi e generosi morirono, sopravvissero quelli che si erano inguattati negli uffici, certo non le migliori premesse per n luminoso futuro.

L’Inghilterra perse il fiore della sua aristocrazia e della sua classe dirigente: erano concentrati nei reggimenti di cavalleria che si dissanguarono nelle pianure del Nord Europa in inutili cariche contro i tedeschi che li spazzarono via. Ci furono tante altre cause per la fine dell’Impero Britannico, ma anche lo sterminio della sua migliore e più preparata gioventù contribuì e parecchio.

Tutto per qualche chilometro quadrato di terra tra Francia e Germania, tra Italia e Autria e un po’ di colonie comunque tutte perdute. Oggi è tutto superato, si passano le frontiere con la carta di identità e nemmeno quella, siamo tutti cittadini, non proprio proprio, ma quasi, della stessa Unione Europea.

Sono passati quasi cent’anni, gli europei di oggi si girano dall’altra parte al pensiero di quella immensa strage. Litigano sempre fra loro, ma ciò non impedisce il turismo e i commerci.

Le considerazioni riportate sopra sono prese da una analisi che Sergio Romano, ex ambasciatore, in quanto tale parte della diplomazia italiana, ma anche ottimo analista sul Corriere della Sera, offre in risposta a un lettore nella rubrica che tiene sul Corriere.

Sergio Romano non crede che

“l’Austria voglia davvero la restituzione del Tirolo meridionale e, tanto meno, che sia disposta a «indennizzare» l’Italia per la perdita della provincia di Bolzano. Se divenissero austriaci, i tirolesi chiederebbero a Vienna di conservare lo stesso trattamento privilegiato di cui godono oggi”.

Nemmeno crede che

“la grande maggioranza degli abitanti della provincia [di Bolzano] voglia separarsi dall’Italia. Le occasionali fiammate di patriottismo tirolese […] sono i mezzi di cui un partito-pastore, la Südtiroler Volkspartei, si serve per tenere unito il gregge dei suoi elettori e assicurare a se stesso il diritto di governarli e rappresentarli di fronte allo Stato italiano”.

A Roma,

“i parlamentari della Svp fanno una politica accorta e fiancheggiano generalmente i partiti da cui attendono un atteggiamento più conciliante. È questa la ragione per cui la Svp, pur essendo un partito conservatore, preferisce il centrosinistra al centrodestra”.

Sono criteri non

“molto diversi da quelli di Alcide De Gasperi quando rappresentava il Tirolo italiano (come era chiamato allora) nel Parlamento di Vienna”.

De Gasperi, che era di Trento,

“non era irredentista e preferiva l’Austria cattolica alla monarchia dei Savoia, scomunicata da Pio IX e sospetta di simpatie massoniche. Ma si batteva per l’autonomia del Trentino in un mondo prevalentemente germanico e giocava la sua partita con le regole dello Stato austro-ungarico”.