Regionali, schiaffo a Pd. Repubblica, Corriere: pensioni, ordine pubblico fuori radar

di Sergio Carli
Pubblicato il 3 Giugno 2015 - 06:50 OLTRE 6 MESI FA
Regionali, schiaffo a Pd. Repubblica, Corriere: pensioni, ordine pubblico fuori radar

Matteo Renzi e Piercarlo Padoan. Nei loro insulti ai pensionati una chiave dello schiaffo elettorale al Pd

ROMA – Matteo Renzi è al centro dei commenti sui risultati delle elezioni regionali del 31 maggio 2015 sui due primi giornali italiani, Repubblica e Corriere della Sera. Su Repubblica c’è un editoriale di Ezio Mauro, direttore, mentre il suo collega al Corriere della Sera, Luciano Fontana, ha lasciato la posizione d’onore in prima pagina a Antonio Polito e si è affidato a un video messo on line dal sito del giornale, accompagnato da una semplice didascalia che distilla questa massima:

“Salvini più Berlusconi fanno un centrodestra competitivo e il M5S trova una sua fisionomia. Renzi alzerà la posta con la sinistra Pd”.

Ezio Mauro su Repubblica parte a testa bassa contro Matteo Renzi e scrive di

“una sconfitta politica per il Pd di Matteo Renzi”.

Perché uno si chiede. Questa la spiegazione:

1. “Una destra scompaginata e divisa è riuscita comunque a mantenere le posizioni di cinque anni fa, con due successi netti e un profilo fortemente competitivo in Campania e persino in Umbria, segnalando che anche le Regioni rosse possono diventare contendibili.

2. “Il trionfo di Zaia sulla Moretti in Veneto e la conquista della Liguria da parte di Toti segnalano che l’innamoramento del Nord per il centrosinistra alle elezioni europee in realtà era solo un flirt”.

Due dettagli completano il quadro, anche se non si capisce bene il nesso con la spiegazione della sconfitta di Renzi:

1.”La destra ha cambiato driver e al sole spento di Berlusconi, un leader ridotto ai minimi termini, si è sostituita la stella lepeniana di Salvini, con la forza d’urto del collezionista di paure e inquietudini crescenti nel grande tinello italiano, davanti all’universalismo senza governo.

2. “Il Movimento 5 Stelle, nel territorio senza insegne dell’antipolitica, conferma la sua presa sul malcontento e sul risentimento, ma con un embrione di classe dirigente che sta prendendo volto e coraggio, in una crescente autonomia tecnico-parlamentare dalle liturgie web-autoritarie di Grillo”.

Come fosse colpa di Matteo Renzi, Ezio Mauro registra che,

“a un anno dal trionfo renziano alle Europee, oggi il secondo e il terzo partito italiano sono forze anti euro e anti sistema stabilmente insediate nell’elettorato e nel meccanismo istituzionale che contestano. Quelle elezioni europee del 40 per cento sembrano molto lontane. Il deperimento nei numeri e nelle percentuali del Pd lo rende oggi un vincitore barcollante e incerto, con le cifre di un’astensione selvaggia che evidenziano la crepa aperta tra il Pd, Renzi e la pubblica opinione”.

Povero Renzi, è antipatico da morire, rozzo sbruffone arrogante e forse anche un po’ ignorante, però è l’unico che ha provato a fare qualcosa per mettere in moto la povera Italia. Più che un uomo solo al comando è un uomo solo contro tutti quelli che, dai politici alla burocrazia ai giornali, hanno ridotto l’Italia come è ridotta. Se l’Italia da 20 anni a questa parte è cresciuta a ritmo metà dell’Europa forse non è stata tutta colpa di Berlusconi, forse un po’ di colpa ce l’hanno anche gli altri che si sono alternati con Berlusconi al Governo e che, dopo la sua caduta, ci hanno rovinato del tutto, con la benedizione di Repubblica e degli altri giornali.

Sono quelle stesse forze che cercano di rendere vani gli sforzi di Renzi che non è De Gasperi e nemmeno Giolitti e nemmeno Mussolini ma che almeno ci prova. Qui Mauro riconosce a Renzi un punto:

“È ancora forte l’investimento di fiducia nel leader rottamatore, nella convinzione che sia oggi l’unica vera leva di cambiamento per la politica nazionale”.

Poi lancia un giusto avvertimento:

“Il crinale che divide la retorica della rottamazione dalla predicazione dell’antipolitica è sempre stato molto stretto, e coltivando la prima si rischia di annaffiare la seconda”.

Però non trae le conclusioni anticipate sopra e si lancia in una invettiva che è tutta meritata ma monca:

“Le vittorie del Pd, specialmente al Sud,  portano il volto di due leader della sinistra populista come Emiliano e De Luca, super-sceriffi abili e diversamente disinvolti, insediati dal voto come potenze sempre più autonome da tutto, dalle regole, dalla distinzione tra destra e sinistra, dal Pd e naturalmente da Renzi”.

Ma questa è la politica, in tutto il mondo. La politica non è quella degli illuminati di Platone, è quella della gente, tutta la gente, tutto il popolo e il popolo è anche sporco e a volte puzza, ma questa è la democrazia.

Invece Ezio Mauro si inerpica su un ragionamento che è un po’ elitario, un po’ minoritario e in cui, in fondo, c’è la vera chiave dell’inizio del declino di Renzi:

“Bisognava forse pensare, l’altra sera, che c’era un popolo disperso che davanti ai siti e alle tv si interrogava sul destino di questo Paese alla fine di una transizione eterna, e persino sul destino della sinistra, ritenendola lo strumento politico più adatto a gestire la fuoruscita dalla crisi, coniugando opportunità e equità”.

Ma il popolo di Mauro non è il Popolo, è un popolo che spinge l’Italia sulla china del peronismo: equità, giustizia sociale. L’Argentina non si è più ripresa. Non è con la giustizia sociale che Renzi ha ottenuto il consenso del ceto medio che fa la differenza dei voti rispetto alla nicchia cui è inevitabilmente destinato un Pd troppo socialista. La lezione di Francia e Gran Bretagna, per non dire la parolaccia Germania, è davanti a tutti, è riferita in italiano, è chiara. Invece Ezio Mauro la legge al contrario:

“Qui sta il nodo che tiene insieme lo stop elettorale per Renzi e le chance per il futuro. Col voto delle europee, con la debolezza degli avversari, con il credito renziano per il cambiamento, il Pd poteva profilarsi non solo come il partito di maggioranza relativa ma come la spina dorsale del sistema politico-istituzionale. E infatti il capolavoro dell’elezione di Sergio Mattarella [ma è stato davvero un capolavoro di Renzi o un errore, un bluff per spaventare Berlusconi che gli è sfuggito di mano?] aveva confermato il Pd nel ruolo di player centrale e indiscusso.

“Invece di capitalizzare questo risultato, con un patto interno al partito per affrontare una stagione forte di riforme condivise in Italia e in Europa, si è disperso un patrimonio politico, gettando al vento un’opportunità straordinaria.

“La ragione è culturale e sta racchiusa in una mancanza permanente e irriducibile di legittimazione reciproca. La minoranza considera Renzi un abusivo, non un Papa straniero ma il capo di un manipolo di invasori alieni. […] Questo atteggiamento porta al paradosso, per alcuni, di preferire una sconfitta del leader a una vittoria del partito. […]

La parte finale dell’articolo di Ezio Mauro si spiega e commenta da sola:

“;La sinistra oggi deve cambiare, e infatti ha ottenuto il miglior risultato di sempre su una promessa di cambiamento, con un leader che la incarna. Ma per arrivare dove, come, e con chi? Se il partito della nazione vuol dire che l’albero e il fusto cresciuti saldamente nel campo della sinistra sanno prolungare le fronde fino al centro, allora è ciò che si aspettava da sempre, ciò che hanno fatto Mitterrand, Blair e anche Hollande [in realtà sono tre modelli di leadership, umani e politici diversi assai] parlando e convincendo ceti e interessi di centro in nome dell’identità risolta e sicura di una sinistra moderna, europea, occidentale, che vuole governare.

“Se invece il partito della nazione è il partito della sostituzione, con un trapianto centrista che soppianta i rami nati e cresciuti a sinistra, allora diventa un’altra cosa, e lascia sguarnita una parte rilevante e indispensabile del campo e di conseguenza del corpo elettorale, cambiando la natura dell’insieme. […]

“La responsabilità maggiore sta al capo di quel partito, che ha oggi un enorme potere essendo anche capo del governo. Per continuare fino al 2018 c’è bisogno non solo del premier, ma anche del segretario del Pd, che spesso latita, e che invece deve imparare a usare lo strumento-partito nell’interesse del Paese.

“Solo così si potrà coniugare il cambiamento con la responsabilità. Anche perché fuori, intanto, prospera una doppia alternativa radicale. Dopo vent’anni di berlusconismo, non saranno né il moderatismo, né il moderno conservatorismo europeo, tantomeno il liberalismo ad ereditare il guanto di sfida lasciato ormai cadere dall’ex Cavaliere, ma l’estremismo che forza le porte del sistema e dell’Europa. Le due campane di Grillo e Salvini hanno lo stesso rintocco, e suona per noi”.

Antonio Polito sul Corriere della Sera non ha il respiro né il passo e nemmeno lui sembra capace di cogliere il cuore del problema, anche se a un certo punto ci va vicino.

“Renzi resta il dominus della politica italiana. Non era scontato. Nella notte elettorale è stato a soli sessantacinquemila voti dalla sconfitta. È la distanza che separa in Campania De Luca da Caldoro. Avesse perso anche a Napoli, oltre che a Genova e in Veneto, oggi racconteremmo un’altra storia. […]

“Renzi era abituato a levitare nei sondaggi. Il voto di domenica lo ha riportato con i piedi per terra, ma senza farlo sbattere. È scomparso invece nelle urne il Partito della Nazione, come era stato definito il Pd renziano, che un anno fa alle Europee prendeva il 40% e che ambiva a ereditare i voti berlusconiani in libera uscita. È stato sostituito dal solito Pd, fatto di baronie locali al Sud e di stagionati mandarini nelle regioni rosse.

“Più ancora che in Liguria, il progetto di sfondamento al centro esce sconfitto dal Veneto, dove il Pd torna all’irrilevanza dei tempi diessini, schiacciato dalla Lega e mangiucchiato dai centristi di Tosi. E lì non si può neanche dare la colpa alla minoranza interna. Se si fosse già chiusa la finestra di opportunità apertasi appena un anno fa nella Valle Padana, cuore politico e sociale del moderatismo italiano, il nuovo partito di Renzi sarebbe già vecchio.
Tutto ciò chiama in causa il problema delle alleanze, politiche e sociali”.

 

Questo è il nodo, che Renzi sembra avere ben chiaro quando vuole riconoscere il premio di maggioranza al partito e non alla coalizione migliore. Fino a quando il Pd sarà soggetto ai diktat di Sel, partito senza il quale le elezioni del 2013 sarebbero state vinte da Beppe Grillo, l’Italia sarà guidata dai voleri di una minoranza che rappresenta meno del 4% dei voti e le nostre città saranno dominate da nomadi, scippatori, accattoni e tutta una variegata compagnia di cui la parte migliore è ancora costituita dai fastidiosi e rumorosi artisti di strada, cui la Siae non sembra incutere timore alcuno. I cittadini hanno fastidio e in molti casi paura.

Per Mauro, Fontana, Polito, che passano le giornate nei loro palazzi e in quelli del Potere, questi sono temi fastidiosi. Per i cittadini no.

Per Mauro, Fontana e Polito poi anche i pensionati sono una massa di scemi fastidiosi che difendono i loro privilegi a danno del popolo. Così i pensionati non solo nei loro radar ma se li sintonizzassero meglio vedrebbero quanti pensionati e parenti ci sono nei milioni che non hanno votato e nei milioni che non hanno votato Pd. Con la beffa, da parte di quei “poveri”, che Renzi e i giornali corteggiano anche se li leggono solo per insultarli, che quelli non il Pd hanno votato, ma M5s o Lega.

Antonio Polito non degna questi temi, anche lui sta sul piano nobile delle riforme, della grande politica:

“Il percorso di riforme avviato dal governo deve proseguire, non è certo meno necessario. Ma per riprendere il passo, forse il premier dovrà rinunciare a qualche tifoso per cominciare a farsi qualche alleato. La solitudine del leader è una condizione quasi inevitabile, ma il riformismo dall’alto è un errore già visto. La ricerca spesso deliberata dello scontro con i corpi intermedi non ha dato stavolta i frutti sperati. Così si rischia di pagare il prezzo più alto proprio quando si ha più ragione, come sulla scuola.

“Paradossalmente Renzi potrebbe essere aiutato in questa maturazione da un altro effetto del voto regionale. Il secondo posto, il ruolo cioè di potenziale sfidante al ballottaggio dell’ Italicum , non è andato ai Cinque Stelle, nonostante l’ottimo risultato, ma a un centrodestra che nessuno sa esattamente cosa sia e da chi possa essere guidato, ma tutti hanno capito che esiste e che quando è unito, anche alla bell’e meglio, è ancora in grado di vincere, come in Liguria. Per il premier è una buona notizia, può aiutarlo a evitare peccati di orgoglio. Un’opposizione competitiva fa bene ai governi. Sta a Renzi sfruttare al meglio il tempo, non breve, che ci vorrà prima che diventi una reale alternativa”.