Se hai fame puoi rubare è quasi legge, lo dice la Cassazione

di Sergio Carli
Pubblicato il 4 Maggio 2016 - 08:37 OLTRE 6 MESI FA
Se hai fame puoi rubare è quasi legge, lo dice la Cassazione

Se hai fame puoi rubare è quasi legge, lo dice la Cassazione

ROMA – Se hai fame puoi rubare è quasi legge, lo dice la Cassazione. La Corte di Cassazione ha stabilito che rubare per fame non è reato  e dà un po’ i brividi. Se è vero quello che si è letto sui giornali, i giudici della corte di cassazione non si sono limitati a interpretare la legge, hanno inventato una nuova legge, rubare si può legalmente, se lo stato di necessità giustifica il furto.
Lo stato di necessità, a nostro parere, attenua la colpa, ma il reato resta. Non è la legittima difesa, dove lo stato di mecessità va dimostrato ma dove è in gioco l’alternativa fra la vita e la morte della vittima trasformata in killer e del mancato assassino trasformato in vittima.

In una grande città, a 30 anni e presumibilmente in buona salute, è difficile morire di fame. Le modalità del furto e i precedenti del non ladro secondo il Tribunale, non ladro per la Cassazione) fannno pensare non a uno che stesse morendo di fame ma che avesse trovato più comodo rubare rispetto a tutte le aternative disponibili, La sentenza per il barbone di Genova può apparire un atto di comprensione umana, ma rischia di sabilire un precedente pericoloso:

1. L’Italia diventa sempre più il bengodi dei malfattori. È a verbale il ladro romeno che dall’Italia sollecita un connazionale a raggiungerlo per ampliare la sua attività di ladrocinio, dicendo che in Italia si può fare quello che si vuole perché intanto non ti fanno nulla. Non ti fanno nulla,intendiamoci, se sei un criminale. Se sei un bravo impiegato, forzosamente buon contribuente, abituato a passare col verde, rispettoso delle leggi anche quelle non scritte, se ti capita un incidente, persino come vittima, allora sono fastidi.

2. Avremo forze dell’ordine sempre più demotivate, consapevoli della vanità dei loro sforzi.

3. Avremo un aumento dei furti, incoraggiati dallo stato di necessità.

4. Quale è il confine del bisogno? Il numero dei giorni di digiuno? Il numero dei figli? Chi lo stabilisce? A chi si applica? Solo ai senza fissa dimora che hanno scelto di fare il barbone?

5. Si può estendere al pensionato che non paga la bolletta del gas o della luce? che non paga l’affitto? all’imprenditore che non paga le tasse o i contributi?

Torniamo al barbone. Difficile credere che in una grande città italiana, dove esistono varie stutture di accoglienza e carità, non ci siano altri mezzi per sopravvivere. Ad esempio ci sono tanti lavori e lavoretti occasionali che richiedono però impegno e dedizione; oppure mendicare l’elemosina. Ma anche per questo occorre impegno. Siamo circondati da accattoni, di solito pasciuti e ben vestiti, che ripetono per ore le parole fame e bambini inserite in frasi di incerto italiano. A occhio guadagnano parecchie decine di euro al giorno, tutto nero.

Per non parlare dei parcheggiatori. Ci sono piazze, a Roma, dove si danno il cambio etnie diverse, in ore diverse, tanto rende l’abuso del parcheggio. Ma si tratta di attività impegnative, portano via tempo e fatica, esposti al sole e alla pioggia.

Rubando si ottengono in pochi istanti beni che per procurarsi il denaro necessario per acquistarli ci vorrebbero ore di questua o di fatica.
Forse chiedere l’elemosina è meno dignitoso che rubare?

Ricordiamo la vicenda. Un barbone ucraino di 30 anni, Roman Ostriakov, ha pagato alla cassa solo un pacchetto di grissini, nascondendo e quindi rubando dei wurstel e due pezzi di formaggio. Provatevi a farlo voi e vedete cosaa succede se vi beccano. Così è successo al barbone, condannato per furto, in primo grado e in appello, a sei mesi di prigione e 100 euro di multa. Aveva già dei precedenti e questo ha fatto scattare la severa condanna.

Per la Corte di Cassazione non vale. Con la sentenza numero 18248, la Quinta sezione penale ha stabilito che Roman rubò

“quel poco cibo per far fronte ad una immediata e imprescindibile esigenza di alimentarsi, agendo quindi in stato di necessità”. Ergo, “il fatto non costituisce reato”.

Da notare che la piccola valanga era stata messa in moto dal procuratore generale della Repubblica a Genova. Per ruolo e abito mentale i rappresentanti della pubblica accusa in ogni grado di giudizio raramente si dimostrano soddisfatti delle sentenze. Di regola le impugnano, vogliono quasi sempre condanne più pesanti. A Genova è avvenuto il contrario, non per ragioni di fatto o di contabilità giudiziaria, ma per ragioni morali, meglio sarebbe dire sentimentali.
Accade che la giustizia appaia ingiusta, quando vengono comminate condanne molto severe per furti molto piccoli. È il gioco delle aggravanti, delle attenuanti, delle recidive a fare scivolare in su o in giù il piatto della bilancia.
Ma, si dice sempre, la legge è legge.

Se poi ci sono ragioni di compassione, esistono strumenti come la grazia. Che sia stato commesso un reato non si discute, che il reato vada punito non si discute, che in certi casi si debba usare clemenza può apparire giusto.

Ma la clemenza non può coprire la violazione della legge. Se le due cose si sovrappongono è un piccolo ma importante passo nel caos.