Terremoto, “miracolo dei borghi intatti” nel cuore del sisma: si può parlare di arbitrio del destino?

Pubblicato il 28 Agosto 2016 - 07:26 OLTRE 6 MESI FA
Terremoto, "miracolo dei borghi intatti" nel cuore del sisma: si può parlare di arbitrio del destino?

Terremoto, “miracolo dei borghi intatti” (nella foto: Vezzano) nel cuore del sisma: si può parlare di arbitrio del destino?

Terremoto, c’è chi parla di “miracolo dei borghi intatti”. Sono Vezzano, Trisungo, illesi nel cuore del sisma . Si aggiungono a Norcia e a quell’edificio di cinque piani rimasto solo in piedi in mezzo a Amatrice, non si capisce perché o forse troppo bene.

Per Renato Pezzini del Messaggero di Roma, la fatalità ha giocato pesante, “come se qualcuno, nelle viscere della terra, avesse lanciato la monetina decidendo, alla fine, che Vezzano doveva essere risparmiata dall’orrore”.

 

Basta il destino a spiegare la differenza. In alcuni casi sembra proprio di sì, forse lo si chiarirà nel futuro. Intanto…

Anche a Vezzano la terra ha tremato, alle 3,36 di mercoledì 24 agosto 2016 per ben 142 secondi “di puro terrore”, i muri hanno ballato, la gente fuggita in strada”. Ma non ci sono stati crolli, danni, meno che mai morti o feriti:

“Un piccolo borgo uscito senza una graffio dalla devastazione mentre tutto intorno la vita” finiva.
Vezzano si trova fra Pescara del Tronto e Arquata, “nel cuore della zona martoriata dal sisma”, una quarantina di case di pietra, vicoli stretti, la piazzetta e la chiesa come sempre, tutto in ordine, muri intatti, senza crepe”.

Il fatto che sorprende il giornalista e anche noi è che da lì è ben visibile “la montagna di macerie sotto cui giace Pescara del Tronto, lì a un passo, così vicina che sembra di poterla toccare”. Possibile? si chiede. E si risponde:

“I geologi avranno di certo buone e autorevoli spiegazioni da dare, il sedimento calcareo più o meno compatto, i substrati del sottosuolo, le imprevedibili direzioni delle onde telluriche, cose così. Che però non riusciranno mai a cancellare la sensazione vertiginosa che il destino – sotto le sembianze del terremoto – abbia davvero giocato a dadi con la vita e le vite di queste montagne, scegliendo chi colpire e chi risparmiare, imponendo e proprie imperscrutabili leggi, atroci come tutte le leggi che non sono uguali per tutti”.

In alcune case qualche segno il terremoto lo ha lasciato, in una, visitata dal cronista, scardinando serrature, sbreccando un muro divisorio, facendo cadere tre pietre refrattarie che rivestivano il camino. Ma le scale sono integre, gli infissi non si sono mossi di un millimetro, perfino i bicchieri di cristallo della nonna allineati nella credenza sono intatti.
In piedi è rimasto anche il ponte che collega i due borghi di Trisungo separati dal fiume Tronto, “un bel ponte di pietra, antico, maestoso, che restituisce un’idea concreta di solidità, neppure scalfito dal terremoto. Basta alzare lo sguardo per vedere la rocca di Arquata, le sue case collassate, i vigili del fuoco che camminano prudenti sulle macerie” e sembra, è un altro mondo.

Qualche centinaio di metri più a valle, a Trisungo proprio come a Vezzano, è tutto intatto:

“Ci abitano centosettanta persone, e più della metà non sono mai andate via da casa. Come se il terremoto fosse stato un brivido di una notte e poco altro. Le uniche tracce lasciate dal terremoto sono un po’ di tegole cadute dai tetti nella parte più antica del borgo e qualche piccolo crollo in due edifici già malmessi di loro”.