Matteo Renzi: Abolirò precariato e co.co.co. Sindacati senza art. 18 già ora

di Redazione Blitz
Pubblicato il 29 Settembre 2014 - 08:39 OLTRE 6 MESI FA
Art. 18. Matteo Renzi: Sindacati unica azienda sopra 15 dipendenti che è senza

Matteo Renzi e Fabio Fazio a Che tempo che fa (foto Ansa)

ROMA – Matteo Renzi va all’attacco e, a ventiquattro ore alla direzione Pd, dove è attesa la resa dei conti. Sul Jobs act, dice, intervistato da Fabio Fazio A Che Tempo che fa:

“Io non tratto con la minoranza del partito ma con i lavoratori”.

Nella cronaca di Chiara Scalise dell’Ansa, Matteo Renzi

dice basta a una sinistra “opportunista e inchiodata al 25%“, che fa dell’articolo 18 una “battaglia ideologica”. Una sinistra che guarda al passato e che non si rende conto che “la memoria senza speranza è un museo delle cere”.

Ed ecco quindi che Matteo Renzi liquida una volta per tutte l’articolo 18 (“gli imprenditori devono poter licenziare”) e annuncia la cancellazione dei contratti precari, dai co.co.pro in poi.

Come riferisce Silvio Buzzanca su Repubblica, Matteo Renzi ha precisato:

“Noi non cancelliamo semplicemente l’articolo 18, cioè la tutela da parte di un giudice, ma i co. co. co e tutte quelle forme di collaborazione che hanno fatto del precariato come scelta di vita di una generazione.

“Io non voglio che la scelta di chi devi assumere o licenziare sia in mano ad un giudice. L’imprenditore, se deve fare a meno di alcune persone, siccome non è cattivo, deve avere il diritto di lasciarne a casa alcune. L’importante è che lo Stato non lasci a casa nessuno”.

Aggiunge Chiara Scalise che Matteo Renzi

“promette che ci saranno anche le risorse per i nuovi ammortizzatori sociali, le vere tutele che secondo lui servono al Paese e a combattere la disoccupazione: si tratta di 1,5 miliardi che saranno inseriti nella legge di Stabilità, un’operazione che in totale varrà 20 miliardi senza però “1 cent di tasse in più”.

Silvio Buzzanca torna sulla idea controversa e molto criticata  di dilapidare la liquidazione dei lavoratori, il fondo Tfr che è in ogni azienda e che già ai tempi Berlusconi aveva provato a regalare ai sindacati con i fondi pensione:

“Renzi dice anche che il governo sta riflettendo sulla proposta della Fiom di mettere in busta paga il trattamento di fine rapporto e ha assicurato che ci saranno 1,5 miliardi per li ammortizzatori sociali. «Se noi riuscissimo a trovare un modo per dare alle piccole e medie imprese liquidità, potremmo mettere da gennaio il Tfr in busta paga mensilmente»”

Chiara Scalise:

Le minoranze interne sono dunque avvisate, sarà battaglia.

Ma anche il sindacato non viene risparmiato:

“L’unica azienda al di sopra dei 15 dipendenti che non ha l’articolo 18 sono loro, che poi ci vengono a fare la lezione”.

I toni dunque non sono certo concilianti. Eppure le minoranze in queste ultime ore sono tornate a insistere sulla necessità di avere un dibattito aperto e soprattutto, con Pierluigi Bersani, hanno invitato Matteo Renzi a evitare aut aut.

Timori che però Matteo Renzi liquida così:

“A Bersani, a cui domani farò gli auguri perché è il suo compleanno, dico che la ditta è sempre la ditta anche se non guida lui”.

Renzi sembra scomporsi poco anche per le critiche arrivate da D’Alema (“non me lo perdo mai”), così come quelle giunte dai cosiddetti poteri forti, da quelli del mondo ecclesiastico a quelli imprenditoriali, a cui si sono aggiunte in questi giorni anche gli attacchi di un ex sostenitore come Diego Della Valle, che tra l’altro starebbe pensando di scendere nell’arena politica, e con cui Renzi si dice pronto a misurarsi senza timori:

“Possono anche mandarmi a casa domani mattina, ma non pensino di telecomandarmi come una marionetta”.

“Poteri forti è un’espressione che non mi piace. Vedo molti pensieri deboli; vedo persone che, con tutto il rispetto, è normale che mi vogliano fare fuori. Sono a capo del paese più bello del mondo e di un partito che ha preso il 41%. In Italia non mi considerano di sinistra, fuori sì”.

Così come dice di essere pronto a misurarsi in Parlamento sulle riforme istituzionali e sulla legge elettorale:

“Bisogna fare veloci. Abbiamo un accordo – ricorda – e Forza Italia non deve continuare a girarci intorno”.

La prima riforma che però attende il premier in Parlamento è proprio quella del mercato del lavoro. Lunedì 29 settembre in direzione Renzi si troverà dunque a confrontarsi con una parte (il 20-30%) del partito che non ne condivide l’impostazione.

C’è chi (come Francesco Boccia, Stefano Fassina, Pippo Civati e i cuperliani) infatti è anche pronto a presentare un documento in Direzione con il quale si chiede di allineare la discussione sulla Legge di Stabilità a quella sulla riforma del lavoro. Sarà la direzione a decidere se questo testo debba essere messo ai voti ma l’importante sarà la discussione che genererà.

Renzi – è il ragionamento – dovrà ascoltare delle ragioni oggettive e scegliere fra un pezzo del partito o Ncd (che proprio oggi è tornato a tuonare, sostenendo come l’intesa raggiunta in Senato sia immodificabile e addirittura con Angelino Alfano non nascondendo di auspicare un decreto legge).

Una battaglia, quelle delle minoranze, che però assicura Pier Luigi Bersani non ha come derivata “il pericolo scissione”, evocato da Civati.

Ma “chi ha responsabilità di dirigere – insiste l’ex segretario del Pd Pierluigi Bersani – deve cercare una sintesi”.

Nonostante posizioni così distanti c’è anche chi, come il presidente del partito e esponente dei Giovani Turchi Matteo Orfini, prova a far vedere una soluzione di mediazione a portata di mano: “Siamo d’accordo al 90%”, rassicura. L’idea è di puntare sul rafforzamento dei licenziamenti cosiddetti discriminatori, sulla falsariga delle proposte di Rughetti e Chiamparino, allargando le tipologie che rientrano in questa casistica e per le quali è quindi previsto il reintegro sul posto di lavoro.

Si tratta però di una opzione già snobbata dalle minoranze nei giorni scorsi.