Affitto, 34 anni senza pagare si può: basta che sia popolare…

di Redazione Blitz
Pubblicato il 7 Ottobre 2016 - 14:37 OLTRE 6 MESI FA
Affitto, 34 anni senza pagare si può: basta che sia popolare...

Affitto, 34 anni senza pagare si può: basta che sia popolare…

ROMA – Affitto, 34 anni senza pagare si può: basta che sia popolare… Si può alloggiare in affitto per più di trent’anni senza pagare un centesimo, di lire o di euro non conta, e resistere a 93 intimazioni di sfratto e più di 200mila euro di arretrati? La risposta è sì ed è subordinata ad alcune condizioni, a partire dalla città Milano e dal fatto che la casa sia stata assegnata dall’Aler, l’agenzia comunale che gestisce i 38mila immobili destinati all’edilizia pubblica.

Le case popolari insomma. Poi serve una Unione Inquilini determinata a difendere i morosi, e i discendenti dei morosi, una amministrazione che non si preoccupa di recuperare i crediti. Essere dipendente della Metropolitana milanese – società gemella di Aler – aiuta. La notizia del record milanese – non si hanno per ora confronti con altre città italiane – è giunta solo quando l’ultimo sfratto, il 94°, è riuscito.

Per rimettere in fila gli eventi che hanno prodotto questa vicenda è necessario inabissarsi in 34 anni di archeologia amministrativa. Al 1982 risale il primo tentativo di sfratto per morosità dell’appartamento di 94 mq al secondo piano del civico 30 del palazzo Aler di Viale Ca’ Granda a Niguarda. L’inquilino intestatario era il padre del moroso attuale.

Le bollette di spese e affitto, di fatto, mai sono state saldate: le uniche somme versate sono sporadici acconti sul rientro degli arretrati. Che sono così aumentati, di anno in anno, fino alla somma di 150.374 euro, fissata al marzo 2015, quando l’Aler ha chiesto e ottenuto un decreto ingiuntivo. A quella somma si sono aggiunti interessi e spese per un totale di 206.107 euro. A quel punto, il giudice ha accordato il pignoramento. Ma anche durante questo periodo di recupero «coatto», la morosità è cresciuta: altri 20 mila euro. (Gianni Santucci, Corriere della Sera)