“Alberto Stasi uccise Chiara Poggi perché pericolosa”: motivazione dei giudici

di Redazione Blitz
Pubblicato il 16 Marzo 2015 - 12:37 OLTRE 6 MESI FA
"Alberto Stasi uccise Chiara Poggi perché scomoda": la motivazione dei giudici

“Alberto Stasi uccise Chiara Poggi perché scomoda”: la motivazione dei giudici

MILANO – “Alberto Stasi ha brutalmente ucciso la fidanzata che evidentemente era diventata una presenza pericolosa e scomoda, come tale da eliminare per sempre dalla sua vita di ragazzo ‘perbene'”. E’ quello che si legge nelle motivazioni della Corte di assise d’appello di Milano che lo scorso dicembre ha condannato Stasi a 16 anni di carcere per l’omicidio di Chiara Poggi.

Scomoda perché sul pc del fidanzato aveva trovato materiale porno, foto compromettenti che lo avrebbero messo in imbarazzo. Pericolosa, se la ragazza avesse raccontato ad altre persone la debolezza privata di Stasi.

Da lì un litigio sfociato nell’omicidio. Secondo la sentenza dei giudici sono andate così le cose la mattina del 13 agosto 2007 nella villetta di Garlasco.

“Dopo aver commesso il delitto – prosegue il magistrato che ha scritto le motivazioni, Barbara Bellerio – l’imputato è riuscito con abilità e freddezza a riprendere in mano la situazione e a fronteggiarla abilmente, facendo le sole cose che potesse fare, quelle di tutti i giorni: ha acceso il computer, visionato immagini e filmati porno, ha scritto la tesi, come se nulla fosse accaduto”.

Contro Stasi ha giocato anche il fatto che Chiara non si è praticamente difesa dal suo aggressore. Si fidava, lo conosceva:

Chiara Poggi ”è rimasta del tutto inerme” di fronte al suo aggressore: ”Era così tranquilla, aveva così fiducia nel visitatore da non fare assolutamente niente, tanto da venire massacrata senza alcuna fatica, oltre che senza alcuna pietà”, si legge nelle motivazioni della Corte d’assise d’appello di Milano.

Stasi venne assolto in primo e secondo grado ma la Cassazione ordinò un nuovo processo. La sentenza è arrivata a dicembre, ora sono state depositate, e quindi rese pubbliche, le motivazioni che hanno portato i giudici a optare per la condanna a 16 anni.