Alma Shalabayeva deportata: “Mukhtar Ablyazov non poteva essere in Italia”

Pubblicato il 22 Luglio 2013 - 06:11 OLTRE 6 MESI FA
Alma Shalabayeva deportata: "Mukhtar Ablyazov non poteva essere in Italia"

Uno dei passaporti di Alma Shalabayeva

La vicenda di Alma Shalabayeva, moglie del miliardario “dissidente” Mukhtar Ablyazov, deportata nel suo paese il Kazakhstan con la figlia di sei anni, vicenda che ha messo in non poche difficoltà il Governo Letta e è ancora al centro di una tonante campagna di Repubblica, sul versante opposto è oggetto di una ricostruzione di Maurizio Belpietro su Libero, che a sua volta si basa su una scoperta fatta da Francesco Grignetti sulla Stampa.

Secondo Francesco Grignetti, Alma Shalabayeva

“ha nascosto la vera identità per salvare l’asilo politico di Ablyazov che era stato concesso da Londra, ma era vincolato al divieto di espatrio”.

Scrive Francesco Grignetti:

“La moglie del dissidente kazako Ablyazov, Alma Shalabayeva doveva proteggere un gran segreto e per questo motivo fino all’ultimo ha taciuto il suo vero nome, la nazionalità kazaka, persino la circostanza fondamentale di possedere un permesso di soggiorno emesso dalla Lettonia e valido in tutta l’area Schengen.

“Perché la signora s’è infilata nel vicolo cieco d’insistere sulla falsa identità di Alma Ayan? Perché non ha detto che era la moglie di un dissidente e non ha chiesto fin da subito asilo politico? La risposta è tra le righe di una comunicazione dell’Interpol inglese che qualche giorno fa è giunta al corrispondente ufficio Interpol italiano: Mukhtar Ablyazov gode di asilo politico in Gran Bretagna dal 2011, ma è subordinato a un divieto di espatrio. E invece il signor Ablyazov ha segretamente lasciato il Regno Unito”.

Secondo Francesco Grignetti,

“quando c’è stata l’irruzione di Casal Palocco del 29 maggio, Ablyazov è stato a un passo dall’arresto. In pratica, se la signora davanti alla polizia italiana avesse tirato fuori i suoi regolari documenti sarebbe saltato fuori che anche lui era Italia. E allora addio all’asilo politico. Ma questa era l’ultima cosa che gli Ablyazov si potevano permettere.

“Addirittura, quando deve far affidare la figlia, Alma indica la sorella Venera come la persona di sua fiducia, ma definendola «mia collaboratrice e amica» e nascondendo il rapporto di parentela. Ribadisce la finzione ancora durante l’udienza davanti al giudice di pace. Quando le chiedono della sua famiglia, cita i quattro figli e sorvola sull’esistenza di un marito. E ancora. Davanti al giudice di pace, il suo avvocato inglese sta al gioco, limita a proporre un rientro volontario in Centroafrica «quando la polizia le restituirà il passaporto diplomatico, pienamente valido». Non potendo rivelare chi è il marito, la signora non può nemmeno esternare i reali pericoli a cui va incontro se la mandassero in Kazakhstan. Sceglie il silenzio, insomma. E si immola.

Sulla base dell’articolo di Francesco Grignetti, si chiede Maurizio Belpietro

“perché la donna, prima di essere espulsa, non abbia detto di essere la moglie di Mukhtar Ablyazov, cioè di un cittadino kazako che in Gran Bretagna aveva ottenuto asilo politico.

“Come mai ha taciuto: sarebbe bastato far presente la condizione del coniuge per ottenere tutela e poter rimanere in Italia.

“Perché sono stati zitti i suoi legali, i quali fin dal 29 maggio avrebbero potuto richiedere l’asilo politico, ma invece non hanno fiatato né quel giorno né quello successivo e neppure il 31 di fronte al giudice, quando stava per essere convalidato il provvedimento di allontanamento della signora e di sua figlia?

Ricorda Belpietro che Alma Shalabayeva è difesa da uno dei più noti studi legali di Roma e deduce che la donna e

“i suoi avvocati sapevano perfettamente che cosa avrebbero dovuto fare per bloccare l’espulsione e cioè dichiarare le vere condizioni di perseguitato politico di Mukhtar Ablyazov e della sua famiglia”.

Se non lo hanno fatto c’era

“una ragione ben precisa. La donna nasconde la sua identità e quella della figlia, finge che la sorella sia la domestica e il cognato un custode della villa in cui si nasconde, perché vuole coprire il marito, il quale se si scoprisse che fino a pochi giorni fa era anch’egli nella residenza di Casal Palocco, vicino a Roma, perderebbe lo status di rifugiato politico e dunque ogni protezione dai mandati di cattura che lo inseguono.

“Secondo quanto ha ricostruito La Stampa, l’ex banchiere ha sì ricevuto asilo in Gran Bretagna, ma a patto di non lasciare il Regno Unito. Il dissidente kazako è tutelato dagli inglesi, ma solo se rimane nei confini inglesi: all’estero non gode di alcuno schermo. Ma da qualche mese Mukhtar Ablyazov non può più restare in Inghilterra, perché l’Alta corte lo ha condannato per aver nascosto ai giudici il patrimonio accumulato, celandolo dietro a prestanome”.

Ablyazov, sostiene Maurizio Belpietro, va in Italia, con la sua famiglia, ma senza chiedere asilo politico, perché altrimenti in seguito all’ordine di carcerazione inglese non solo non lo otterrebbe, ma perderebbe anche quello inglese.

Quando sente che gli agenti del presidente – dittatore del Kazakhstan, Nazarbaev, stanno per scoprire il nascondiglio, Ablyazov scappa ancora

“e lascia la moglie sola nella casa alla periferia di Roma. E qui la trovano i poliziotti che fanno irruzione la notte tra il 28 e il 29 maggio e ai quali, per proteggere il marito, la donna fornisce passaporto e generalità false, sperando che nessuno la ricolleghi al fuggiasco. Ecco perché non dice chi è e non mostra il permesso di soggiorno lettone che le avrebbe evitato l’espulsione consentendole di rimanere da noi, come è successo con il cognato. Ecco perché non chiede asilo politico, richiesta che avrebbe da sola bloccato l’allontanamento. Alma Shalabayeva si sacrifica per il marito”.

In fondo ai due articoli, quello di Grignetti e quello di Belpietro, c’è una goccia di veleno per la Polizia italiana, ma senza montarne un caso come Repubblica e un po’ il Corriere.

Scrive Grignetti:

“Ovviamente la polizia sa bene chi è, non solo perché una Nota dell’ambasciata del 28 maggio la cita per nome, cognome e data di nascita, ma perché il 30 avviene il riconoscimento ufficiale da parte dell’ambasciata. E per due giorni va avanti la tragica commedia degli equivoci”.

Maurizio Belpietro conviene

“che l’inefficienza e anche l’arrendevolezza della polizia italiana all’invadenza dei kazaki hanno contribuito al pasticcio”.