Andrea Soldi, 4 indagati per la sua morte. Il padre: “Chiesi io il Tso, non me lo perdono”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 9 Agosto 2015 - 16:13 OLTRE 6 MESI FA
Andrea Soldi, 4 indagati per la sua morte. Il padre: "Chiesi io il Tso, non me lo perdono"

Ansa

TORINO – In seguito alla morte di Andrea Soldi, il 45enne deceduto dopo essere stato ricoverato per un Tso mercoledì scorso, il pm della Procura di Torino, Raffaele Guariniello, ha iscritto sul registro degli indagati  tre vigili urbani e un medico. Il padre dell’uomo, Renato, racconta di aver richiesto lui l’intervento dei sanitari. A chi gli sta vicino racconta: “Non mi perdonerò mai di aver chiesto io stesso il Tso…”

La vicenda su cui ora la Procura dovrà fare chiarezza, la ricostruisce Giusi Fasano sul Corriere della Sera:

“Non si trattano così nemmeno le bestie da portare al macello. Se ripenso a quella scena mi viene da piangere. Io ho portato la divisa per una vita, so cos’è il senso del dovere e dello Stato. E l’altro giorno, mi creda, il senso dello Stato qui non c’era». Sebastiano Pischedda, 76 anni, è un ex carabiniere in pensione e mercoledì pomeriggio guardava piazza Umbria dalla finestra di casa sua. Ha visto Andrea Soldi seduto sulla solita panchina, ha visto gente che si agitava attorno a lui e poi ha visto «quello che si è messo dietro di lui e gli ha stretto il braccio attorno al collo. E che non mi si venga a dire che non è vero, so distinguere un collo da un petto”.

Andrea aveva 45 anni e quelli erano i suoi ultimi minuti di vita. Dovevano ricoverarlo per un Tso, trattamento sanitario obbligatorio. Un intervento quasi di routine per lui, già sottoposto ad altri Tso e in cura psichiatrica da molto tempo. Ogni tanto smetteva di prendere i farmaci e bisognava costringerlo a ricominciare. Per farlo erano arrivati lo psichiatra, un infermiere e tre agenti della polizia municipale. Si doveva soltanto portarlo in ospedale, anche contro la sua volontà. «E invece l’hanno caricato sulla lettiga che non si muoveva più dopo averlo tenuto per terra a faccia in giù e ammanettato con le braccia dietro la schiena», si arrabbia Pinuccia, la moglie dell’ex carabiniere. «Abbiamo scattato una fotografia con il telefonino (adesso nelle mani degli inquirenti, ndr). Povero Andrea. Era una presenza fissa, non ha mai dato fastidio a nessuno. Ci mancherà quel verso che faceva… lo sentivamo al mattino e dicevamo: ecco, è arrivato Andrea». Ululava come i lupi

Ululava come fanno i lupi, Andrea. Lo sapevano i bambini del quartiere, che correvano davanti a lui a imitarlo con il consenso divertito delle mamme tutte in lutto, sabato, davanti alla sua panchina piena di fiori. Maria, Rosa, Giovanna, Rita, Roberta… improvvisano capannelli, lasciano biglietti per il «tenero lupo mannaro», maledicono persone che non conoscono. I vigili urbani, soprattutto. Eppure è ancora tutto da scrivere il capitolo della responsabilità di questa storia. Chi ha sbagliato? Se davvero l’agente ha stretto il suo braccio al collo di Andrea com’è possibile che lo psichiatra, che a quanto pare sarebbe il responsabile dell’esecuzione del Tso, non abbia ordinato di interrompere l’operazione davanti a un uso eccesivo della forza? Più di un testimone racconta di Andrea «con il volto cianotico» e il medico, oppure l’infermiere, non l’hanno notato?

(…) Lunedì l’autopsia proverà a chiarire la dinamica dei fatti e poi si valuteranno le relazioni presentate in procura dallo psichiatra e dai vigili. Nel documento degli agenti si racconta che Andrea è stato afferrato non per il collo ma «nella parte superiore del busto», si dice che era «renitente alla somministrazione delle cure», si parla del suo «stato di delirio» e si ricostruisce anche il viaggio in ambulanza verso l’ospedale (uno degli agenti è salito con l’infermiere): nessuno, spiegano i vigili, ha detto che il paziente stava andando sotto i parametri vitali né sono state messe in moto procedure di urgenza. Insomma: una strada che porta dritto verso un rimpallo delle responsabilità fra vigili e azienda sanitaria.

Tutto questo mentre il padre di Andrea, Renato, dice a chi gli sta vicino che «non mi perdonerò mai di aver chiesto io stesso il Tso…» e mentre l’avvocato della famiglia (che è anche cugino), Giovanni Maria Andrea, si dice ‘commosso dall’aiuto che stiamo ricevendo’. La barista cinese della piazza, i romeni che lì bivaccano, la gente che abita nei palazzi accanto, quelli che mercoledì pomeriggio erano di passaggio o i pensionati che ci passano ore: tutti sono andati a testimoniare ‘in onore di Andrea’. Tutti l’hanno descritto ‘buono, innocuo, sempre gentile e sempre lì, sulla sua panchina, da mattina a sera, estate e inverno’. E tutti invocano una sola cosa: giustizia”.