Baccano da movida è reato: lo dice la Cassazione. Sentenza ma…

di Redazione Blitz
Pubblicato il 7 Ottobre 2016 - 15:00 OLTRE 6 MESI FA
Baccano da movida è reato: lo dice la Cassazione

Baccano da movida è reato: lo dice la Cassazione

ROMA – Il baccano quello da movida, tipico del sabato sera, è un reato. Quel vociare che poi si fa urla, quel rumore di bottiglie che si rompono, la musica alta, le persone che si ammassano all’esterno di un locale o in una piazzetta…tutto non più lecito. Lo dice la Cassazione, c’è la sentenza, ma di fatto sarà difficile che si possa intervenire e denunciare chi fa baccano, ogni qual volta si verfichi un caso. Tutto è nato dal Ricorrente (un locale della movida dell’hinterland milanese) a cui era contestata la violazione del comma che punisce indistintamente chi con gli schiamazzi o con la musica, nell’ambito di uno spettacolo o di un luogo di ritrovo o nel corso di un intrattenimento pubblico, turba la quiete del vicinato.

Secondo il Ricorrente però la sua condotta poteva essere inquadrata come illecito che scatta quando i limiti di emissione sonori vengono superati nel limite consentito a chi ha un’attività o un mestiere rumoroso. Per la Cassazione però non è così. I giudici infatti pur consapevoli di indirizzi contrastanti sul tema, affermano che è configurabile la violazione sanzionata dal comma 1 dell’articolo 659 del Codice penale, quando l’attività viene svolta andando oltre le normali modalità di esercizio, tanto da turbare la pubblica quiete.

Come scrive Il Sole 24 Ore:

E che questo sia avvenuto nel caso esaminato emerge da una fitta serie di testimonianze e di esposti alle autorità. Atti dai quali risulta addirittura che alcuni abitanti esasperati avevano venduto la casa pur di trovare un po’ di pace. Inutile per il ricorrente affermare il diritto alla non punibilità, previsto dall’articolo 131-bis . Per la Cassazione correttamente il giudice di merito ha escluso l’accesso alla norma “di favore”, in virtù dell’intensità del dolo e della gravità dell’offesa.

La Cassazione quindi precisa che il giudizio sulla tenuità richiede:

una valutazione «complessiva e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto della modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e del danno o del pericolo». Nel caso esaminato a “deporre” contro il ricorrente c’erano la negazione delle circostanze attenuanti e l’applicazione di una pena molto vicina al massimo edittale, proprio in considerazione della gravità del reato (articolo 133, comma 1 del Codice penale).