Burqa, velo islamico e vu cumprà, vietato vietarli: Varallo (Vc) perde con Asgi

Pubblicato il 19 Aprile 2014 - 10:46 OLTRE 6 MESI FA
Burkini, costume da bagno islamico, vietato vietarlo: Varallo perde con Asgi

Il cartello del Comune di Varallo (Verceli) contro l’uso del burka condannato dal Tribunale di Torino

Il “burkini”, il costume da bagno islamico, e più in generale il velo integrale e il burqa si possono indossare e vietarli è “discriminatorio” come sono illegali i cartelli stradali che utilizzino il simbolo del divieto di sosta per propagandare tale divieto, secondo il Tribunale di Torino cui si erano rivolti quattro cittadini italiani (Marianna Corte, Edoardo Ghelma, Fabio Musati, Maria Rosa Pantè) e la Asgi, Associazione studi giuridici sull’immigrazione, contro il comune di Varallo (Vercelli), che tale divieto aveva imposto e propagandato.

Una nota del Servizio anti discriminazione dell’Asgi ricostruisce la vicenda, partendo dalla Ordinanza numero 99 del 2009 con cui il Comune di Varallo (Vercelli)

“aveva disposto il divieto (con previsione di relativa sanzione amministrativa in caso di violazione) di indossare il “burkini” su tutto il territorio comunale “nelle strutture finalizzate alla balneazione”, nonchè il divieto “di abbigliamento che possa impedire o rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, quale a titolo esemplificativo caschi motociclistici al di fuori di quanto previsto dal codice della strada e qualunque altro copricapo che nasconda integralmente il volto”.

L’ordinanza era stata seguita dall’installazione, ad ogni entrata del paese, di cartelli di 2 metri per 3 con su scritto che “su tutte le aree pubbliche è vietato l’uso di burqa, burquini e nigab, vietata l’attività a ‘vù cumprà’ e mendicanti”; la scritta, ricorda l’Agi, era

“inserita all’interno di un simbolo indicante il divieto di sosta e corredata, sulla parte sinistra del cartello, da due immagini femminili abbigliate con il niqab ed il burqa e da un’immagine maschile tutte con sovraimpresse due linee incrociate e l’epigrafe “NO niqab e burqa” e “NO vù cumprà” e, sulla parte destra del cartello, da un’immagine femminile con il velo islamico e l’epigrafe “SI velo”.

Secondo il giudice di Torino, che ha sentenziato il 14 aprile 2014, l’ordinanza comunale

“discriminava l’utilizzo di un costume da bagno, sostanzialmente corrispondente (tranne per il materiale da fabbricazione) ad una muta da subacqueo (certamente mai vietata nelle strutture finalizzate alla balneazione), adottato espressamente da alcune credenti di religiose islamica”.

“I cartelli originari oggetto del ricorso introduttivo poi, così come descritti supra,  erano certamente (e fortemente) discriminatori perché il divieto che dal cartello promanava veniva radicato tramite focalizzazione del messaggio (tra l’altro, dai forti contenuti anche nelle immagini figurative) soprattutto sulle minoranze femminili ed islamiche; divieto reso ancor più tagliente dall’utilizzo improprio del simbolo del divieto di sosta (riferito a tutte le condotte vietate) che l’art. 158 del Codice della Strada prevede per i veicoli e non per gli esseri umani”.

In una loro nota di commento alla sentenza del Tribunale di Torino, Marianna Corte, Edoardo Ghelma, Fabio Musati, Maria Rosa Pantè danno l’idea della forte tensione che ha turbato la vita di Varallo per 5 anni, da quando i cartelli furono affissi all’ingresso in città, per essere

“rimossi e sostituiti con altri soltanto la mattina stessa in cui si teneva la prima udienza. Nonostante la sostituzione abbiamo chiesto che il Giudice valutasse comunque se per 5 anni alla nostra città era stata inflitta l’offesa di dover sopportare, in nome dell’amministrazione comunale, cartelli razzisti. Su questo punto il Giudice ha accolto in pieno la richiesta così decidendo: “I cartelli originari …erano certamente (e fortemente) discriminatori perché il divieto che dal cartello promanava veniva radicato tramite la focalizzazione del messaggio (tra l’altro , dai forti contenuti anche nelle immagine figurative) soprattutto sulle minoranze femminili ed islamiche; divieto reso ancor più tagliente dall’utilizzo improprio del simbolo del divieto di sosta (riferito a tutte le condotte vietate) che l’art. 158 del codice della strada prevede per i veicoli e non per gli esseri umani”.

“Come ora accertato dal Giudice, per 5 anni una amministrazione comunale ha preteso di trattare esseri umani come automobili e se ne è fatta vanto, ferendo il senso di umanità della nostra comunità. Siamo soddisfatti che ciò che per molti anni abbiamo sostenuto sia ora sancito da una decisione dell’autorità giudiziaria”.

 

Sugli sviluppi più recenti ci sono versioni contrastanti. Secondo i quattro cittadini,

“purtroppo il Giudice ha ritenuto di non poter intervenire sui nuovi cartelli, anche perché l’affissione, essendo intervenuta nel corso del giudizio, non poteva essere considerata nel ricorso che aveva avviato il processo”.

Secondo l’Asgi,

“poichè nel corso del giudizio, il Sindaco del Comune di Varallo aveva proceduto a rimuovere i cartelli originari sostituendoli con altri che non sono stati ritenuti dal giudice di contenuto discriminatorio, con una decisione le cui motivazioni possono suscitare diverse perplessità, il giudice ha dichiarato la cessazione della materia del contendere e ha respinto la richiesta dei ricorrenti per la rimozione dei nuovi cartelli e per la pubblicazione del provvedimento su un quotidiano nazionale a spese della parte convenuta”.