A Napoli il “racket del caro estinto”: pompe funebri “abusive” negli obitori

Pubblicato il 9 Luglio 2012 - 13:21 OLTRE 6 MESI FA
(Foto Ansa)

NAPOLI – Quarantacinque persone tra dipendenti cimiteriali, medici legali, titolari e dipendenti d’imprese funebri, sono accusate di essere coinvolte a vario titolo nel cosiddetto “racket del caro estinto” a Napoli. Erano sempre i primi ad arrivare e ad offrire il loro servizio di onoranze funebri ai parenti dei pazienti appena morti. A volte riuscivano persino ad arrivare in anticipo, e cioè prima del decesso, sbaragliando la concorrenza delle altre imprese grazie ad una rete di informatori tra gli infermieri dell’ospedale di Napoli e gli operatori del telesoccorso che avvertivano l’impresa quando il destino di una paziente era segnato.

L’ordinanza del gip – l’inchiesta è stata coordinata dalla Sezione Reati contro la Pubblica Amministrazione della Procura napoletana – dispone la custodia cautelare in carcere per tre indagati, gli arresti domiciliari per 15 di essi e l’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria per i rimanenti 27. Le accuse per le persone coinvolte nell’inchiesta riguardano vari reati, che vanno dall’associazione per delinquere al falso in atto pubblico e alla corruzione. Le indagini, avviate nel 2009, sulla base di alcune segnalazioni, evidenziano l’esistenza di un diffuso fenomeno corruttivo tra il personale impiegato nei cimiteri e quello infermieristico in servizio negli ospedali, che intascava mazzette da alcuni gestori d’imprese di onoranze funebri.

Sarebbe stato dimostrato il coinvolgimento anche di medici legali ASL, incaricati di constatare i decessi i quali, beneficiando di compensi non dovuti, redigevano il certificato necroscopico sulla scorta delle indicazioni, spesso fornite solo telefonicamente, dagli addetti delle imprese funebri.   Un filone di indagine ha riguardato gli infermieri addetti alle camere mortuarie degli ospedali che, previo lauto compenso, erano soliti avvisare del decesso e assistere imprese funebri compiacenti, affinche’ si aggiudicassero servizi funebri dei pazienti morti.

Ipotesi di responsabilità sono emerse anche a carico di taluni dipendenti comunali addetti al servizio di Polizia Mortuaria che percepivano compensi non dovuti per eseguire le fasi conclusive delle esequie, ovvero quelle relative alla sepoltura o tumulazione delle salme. Tutte le somme illegalmente elargite venivano successivamente contabilizzate dalle imprese funebri a carico dei congiunti delle persone decedute sotto la generica voce spese cimiteriali.

Nell’inchiesta sul business del caro estinto, coordinata dal pm Henry John Woodcock, sono coinvolti numerosi tra i più importanti impresari funebri napoletani, i cui emissari, è emerso dalle indagini, stazionavano abusivamente negli obitori degli ospedali.

Qui, indossando camici bianchi e spacciandosi per medici o infermieri, avvicinavano i parenti dei defunti, inducendoli ad accettare funerali a caro prezzo. I medici che si prestavano a stilare referti sulla base di indicazioni fornite al telefono dagli impresari funebri venivano ricompensati con poche centinaia di euro. I provvedimenti cautelari sono stati emessi dal gip Pasqualina Paola Laviano.

Il ”business del caro estinto” a Napoli era un meccanismo perfettamente rodato: appena avvenuto il decesso la macchina si metteva in moto coinvolgendo dipendenti cimiteriali, medici legali, titolari e dipendenti di imprese funebri. L’obiettivo era far convergere le famiglie e i parenti dell’estinto sulla impresa ”egemone”. E per espletare questo compito le ”sentinelle”, gli infermieri negli ospedali, percepivano circa un centinaio di euro di compenso. Ovviamente oltre alla segnalazione si occupavano anche di addomesticare la scelta da parte delle famiglie.

Le accuse contestate dai pm della Procura di Napoli sono associazione per delinquere, falso in atto pubblico e corruzione. I casi documentati dalle indagini riguardano il 2009, ma – come confermato dal capo della Squadra Mobile di Napoli Andrea Curtale nel corso di una conferenza stampa in Questura – il business andava avanti da tempo, 24 ore su 24.

Gli ospedali in cui sarebbero stati accertati i casi sono il Centro Traumatologico Ortopedico e il Cotugno, ma – riferisce il capo della Mobile partenopea – è estremamente verosimile che il fenomeno si verificasse anche in altri nosocomi cittadini e della provincia. Le persone che si trovano in carcere sono Gennaro ed Emanuel D’Abile, dipendenti dell’impresa funebre Trombetta e Vincenzo Incoronato, dipendente di un’altra impresa funebre. Nell’inchiesta figurano anche i titolari di alcune note imprese funebri napoletane come Dominech, Villani, Bellomunno e Montuoro. Quarantacinque le ordinanze emesse nell’ambito dell’inchiesta: tre in carcere, 15 ai domiciliari e per 27 e’ stato deciso l’obbligo di firma.

Per quanto riguarda gli arresti domiciliari, al momento mancano all’appello quattro persone mentre sono cinque quelle irreperibili sottoposte all’obbligo di firma. ”Da quanto è stato acquisito nelle intercettazioni, le richieste rivolte alle famiglie erano esplicite e chiarissime”, ha precisato ancora Curtale.