Calcio “inquinato” dalle scommesse, corruzione concimata da debiti e deficit: più di due miliardi

di Riccardo Galli
Pubblicato il 6 Giugno 2011 - 14:11 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Ci risiamo. Come già accaduto in passato il calcio italiano è di nuovo scosso dal calcio scommesse. Una storia purtroppo già vista. Ma perché il nostro sistema calcio è così incline a generar scandali? Il problema non è, evidentemente, solo quello delle scommesse. Le partite truccate, le combine, sono un effetto. Non una causa. Le cause sono altre, più a monte. Se è vero come si dice che “chi va per questi mar prende questi pesci”, un sistema che si basa sull’indebitamento, su bilanci fantasiosi e su gestioni finanziarie fuori da ogni logica di mercato, un sistema che vede al suo interno proliferare il conflitto d’interesse in ogni sua possibile declinazione, un sistema i cui rappresentanti più visibili, i giocatori, si fanno accompagnare in gita da esponenti di spicco della camorra, un sistema che è strutturalmente allergico alle regole, non può che figliare comportamenti poco sani. Se l’esempio viene dall’alto il nostro calcio fornisce a tutti, calciatori compresi, un pessimo esempio. Più che mondo del calcio inquinato dalla corruzione, la realtà è quella di una corruzione concimata dal debito, dall’irresponsabilità finanziaria dell’industria calcio, spesso orgogliosamente definita la “decima del paese”.

Continuando ad ascoltare la saggezza popolare, il pesce puzza dalla testa, e la testa del sistema calcio è rappresentata dalle società di serie A, dagli organi di controllo del calcio stesso e dalle società che gestiscono i denari che nel calcio confluiscono, in primis quelli derivanti dai diritti televisivi. Il termine “conflitto d’interessi” è associato quasi esclusivamente a Silvio Berlusconi e alle sue vicende personali e pubbliche, ma è una definizione che calza a pennello anche quando è cucita intorno ai nomi che gestiscono e amministrano il calcio italiano. Neanche a dirlo anche in questo campo il presidente del consiglio ci mette lo zampino. Certo, il problema non è solo italiano, vale anche per altri campionati e per la Fifa, ma in Italia tocca il suo acme.

Prendiamo ad esempio la Infront Sports & Media, l’agenzia svizzera di marketing che compra in blocco diritti sportivi, soprattutto nel calcio, e li vende alle televisioni di tutto il mondo. Per la Fifa la Infront gestisce la vendita dei diritti tv per i mondiali. E lo farà anche per l’edizione 2014 in Brasile. La bravura della Infront è riconosciuta, il gruppo l’anno scorso aveva circa 600 milioni di euro di fatturato e un bilancio in attivo. L’amministratore delegato della Infront, dai primi mesi del 2006, è Philippe Blatter. Un altro Blatter, Joseph, è presidente della Fifa dal 1998, confermato pochi giorni fa nonostante le solite voci di corruzione. Joseph Blatter è lo zio di Philippe.

Infront opera anche in Italia con una controllata, guidata da Marco Bogarelli, ex Media Partners, manager vicino all’ambiente Mediaset. Infront Italy è stata scelta dalla Lega calcio nel 2009 come advisor per la vendita collettiva dei diritti tv, a partire dal campionato scorso, con un minimo garantito di circa 900 milioni l’anno. Infront ha anche curato la vendita dei diritti tv per i mondiali di pallavolo 2010. Guarda caso, nessun dirigente del calcio italiano ha preso le distanze dalla rielezione di Blatter. Silenzio dal presidente della Figc, Giancarlo Abete e da Franco Carraro, dimessosi dalla presidenza Figc l’8 maggio 2006 per lo scandalo Calciopoli, ma tuttora componente della commissione Fifa per l’organizzazione dei mondiali e presidente del Comitato per il controllo interno Fifa. Ma un dispiacere dalla Figc tuttavia la Infront lo ha avuto. L’anno scorso l’agenzia ha offerto alla Figc un minimo garantito con fidejussione bancaria per avere il contratto di vendita dei diritti di sponsorizzazione di tutte le nazionali di calcio. Il 26 novembre 2010 però la Figc ha confermato per altri quattro anni il contratto di «advisor esclusivo» alla Rcs Sport, benché questa non offrisse alcun minimo. Rcs Sport appartiene allo stesso gruppo che è editore del Corriere della sera e della Gazzetta dello sport. Nel palazzo del calcio si fa notare che il principale quotidiano sportivo non è mai aggressivo verso Abete, il presidente della Figc, nonostante la Federcalcio non possa vantare particolari successi, anzi, due volte battuta nella candidatura per organizzare gli europei di calcio in Italia e figuraccia della nazionale di Marcello Lippi in Sudafrica oltre allo stato comatoso delle finanze del calcio italiano.

Si respira aria di conflitto anche dalle parti della Lega. Maurizio Beretta è stato eletto presidente della Lega nel 2009, mentre era nel cda di tre società del gruppo Erg, controllato da Riccardo Garrone, proprietario della Sampdoria: in questi cda Beretta è rimasto per oltre un anno. Nel marzo 2011 Beretta è stato assunto come direttore delle relazioni esterne all’Unicredit, la banca azionista di peso dell’As Roma e sponsor della Champions League, ma non ha lasciato la poltrona in Lega. Prima di lui, Adriano Galliani è stato presidente di Lega mantenendo la carica di a.d. del Milan, mentre il proprietario del club, Silvio Berlusconi, era presidente del Consiglio.

Ma il conflitto d’interessi non è che una faccia della medaglia della mala gestione del calcio nostrano. L’altra faccia ci pensano le società di A a disegnarla con la loro, fantasiosa, gestione economica. Tra il 2007 e il 2010, come emerge dal ReportCalcio 2011 realizzato da Arel, Figc e Pwc e riportato dal Sole24Ore, i debiti di Serie A, B e Lega Pro sono aumentati da 2,2 a 2,7 miliardi. I debiti della serie A sono a quota 2,3 miliardi. La situazione debitoria verso gli altri club e verso il Fisco è migliorata grazie alle più stringenti regole d’iscrizione ai campionati. Viceversa, i debiti commerciali sono cresciuti del 39 per cento. Ma soprattutto i debiti finanziari, tra cui quelli con le banche, sono esplosi passando da 422 a 619 milioni (+47%). Al termine della stagione 2009/2010 i debiti verso gli istituti di crediti ammontavano a 350 milioni circa per i club della massima serie. In B su 100 milioni di debiti finanziari 80 riguardano finanziamenti ricevuti dalle banche. L’aspetto più preoccupante di questo indebitamento è il fatto che a differenza di altri tornei europei, dove debiti spesso ingenti sono stati però indirizzati verso la costruzione/ristrutturazione degli stadi, in Italia (a parte l’eccezione della Juventus) i finanziamenti, come i crediti futuri ceduti con contratti di factoring, sono adoperati per far fronte alla spesa corrente.

Nella stagione 2009/10 solo tre club della massima divisione italiana hanno chiuso il loro bilanci in attivo. Tre su venti, solo Napoli, Catania e Fiorentina si sono salvate dal deficit. E il confronto con gli altri campionati europei è per noi impietoso. Da noi la quasi totalità degli introiti deriva dalla vendita dei diritti televisivi, guarda caso oggi al centro di un’aspra lotta tra le “grandi” e i club minori. I nostri stadi sono spesso semivuoti e i club, per ovviare a queste mancanze, contraggono debiti. La serie A incassa da sponsor, pubblicità e merchandising oltre 300 milioni all’anno, la Liga spagnola 450, la Premier 610, e la Bundesliga addirittura 697 milioni. La Bundesliga poi ha il record di spettatori (la media è di 42mila, contro i 34mila dalla Premier, i 28mila della Liga e i circa 25mila della A). La percentuale di riempimento degli impianti tedeschi è dell’88%, a fronte del 92% della Premier e il 61% della serie A. Anche guardando i conti in controluce, la Bundesliga si fa apprezzare. Il costo del lavoro, nonostante il sensibile incremento del tasso tecnico del torneo, resta in Germania al 52% del fatturato (al netto delle plusvalenze). Gli ingaggi assorbono il 62% dei ricavi nella Premier e nella Liga. Ma questa percentuale sale, inesorabilmente, al 70% in Francia e al 72% in serie A. E mentre le performance del calcio tedesco si spiegano anche con un il mix ben ponderato delle fonti di guadagno, gli incassi infatti derivano per il 23% dallo stadio, per il 32% dai diritti tv e per il 45% da sponsor e merchandising. Il fatturato della A dipende per due terzi dai diritti tv e la Premier per il 50 per cento. La Spagna distribuisce le entrate tra un 38% di diritti tv, il 30% dagli stadi, e il 32 dal settore commerciale.

E se queste sono le “macrostorture” del nostro calcio, la vicenda calcio scommesse ne incarna gli aspetti penali. Ma è l’atteggiamento, il modo di comportarsi del nostro calcio che è sbagliato e da correggere. Solo da noi, ad esempio, tutti, tifosi, dirigenti e giocatori, protestano per qualsiasi fallo venga fischiato. Una scena che altrove non si vede, almeno non ogni partita. E’ il nostro calcio che non è abituato a rispettare le regole.