Cocò Campolongo, intercettazioni: “Prenderemo altri bimbi”

di redazione Blitz
Pubblicato il 13 Ottobre 2015 - 11:23 OLTRE 6 MESI FA
Cocò Campolongo, intercettazioni: "Prenderemo altri bimbi"

Il piccolo Cocò Campolongo

CATANZARO –  “Si sono presi il piccolo Cocò… Ci prenderemo altri bambini”: la faida di ‘ndrangheta in Calabria rischiava di diventare una guerra a colpi di bimbi ammazzati.Queste parole sono state intercettate dai Ros dei carabinieri. Si inseriscono nelle indagini sulla morte di Giuseppe Iannicelli, 53 anni, la compagna marocchina di 27 anni Ibtissam Touss e il nipotino di tre anni Cocò Campolongo. 

Le intercettazioni sono riportate sul Fatto Quotidiano da Lucio Musolino.

“Per il bambino pagano… pagheranno. Ma pagheranno… per ora non posso fare niente. Il bambino si sono presi? E bambini ci dobbiamo prendere… prima o poi… Se volevate ammazzarlo dovevate ammazzare lui… tenevate sempre l’occasione”.

Se l’omicidio del parente che traffica in droga e voleva pentirsi poteva essere anche accettato in certi ambienti, quello di un bambino no. Le regole della ’ndrangheta sono chiare. Non lasciano spazio alle interpretazioni: il piccolo Cocò aveva solo tre anni, non doveva essere ammazzato. Così come non doveva morire Ibtissam Touss (…) . A Cassano allo Jonio (Cosenza), il 16 gennaio 2014 li hanno attirati in un tranello e li hanno uccisi. Tutti e tre. A colpi di pistola. Poi hanno bruciato i loro corpi dentro la Fiat Punto di Iannicelli.

Per quella strage, ieri la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ha arrestato due persone: Cosimo Donato, detto “Cosimino” e Faustino Campilongo, detto “Panzetta”, ritenuti vicino ai clan della Sibaritide. A entrambi, l’ordinanza è stata notificata in carcere perché detenuti per un’estorsione. Erano i “compari” di Iannicelli. I tre si dividevano tutto. Dalle donne alla droga che prendevano dalla cosca degli “zingari” (gli Abbruzzese all’anagrafe).

Giuseppe Iannicelli, infatti, aveva una relazione con la moglie di Cosimo Donato la cui figlia, invece, era fidanzata con il figlio della vittima. La compagna di Iannicelli, Betty (così si faceva chiamare la ragazza uccisa) invece, era stata sposata con Faustino Campilongo ma solo per ottenere il permesso di soggiorno. “Il mio uomo è Peppe I.” aveva tatuato sulla spalla destra.

(…) Una storia dalle dinamiche perverse e che vede protagonisti uomini “d’onore” (…)  che pasticciano con la pistola che ha ucciso al piccolo Cocò, pensano di averla persa ma non sanno che è stata sequestrata dai carabinieri durante una perquisizione. Dal carcere cercano di recuperarla dando indicazioni ai parenti ignari che nella sala colloqui c’erano le microspie dei carabinieri del Ros.

“Se l’hai presa tu, tienila nascosta perché ci sono persone che neanche t’immagini dietro quella cosa… ci sono persone ‘malamente’ in mezzo… persone ‘malamente’”. Cosimo Domato parla con la moglie e le dice di parlare con una tale “Bumba”.

Le persone “malamente”, secondo la Dda di Catanzaro, sono gli Abbruzzese. Il movente dell’omicidio, infatti, per gli inquirenti è mafioso. Giuseppe Iannicelli voleva iniziare a collaborare con la giustizia. Nei mesi precedenti dalla strage la notizia era circolata negli ambienti del clan degli “zingari” che già nutrivano risentimenti nei confronti di Iannicelli perché voleva “mantenere un ambito di autonomia nella sua attività di narcotrafficante, procacciandosi la droga non solo dagli Abbruzzese ma anche dai loro nemici (i Forestefano,). Intollerabile per un’associazione a delinquere di stampo mafioso”.