Cocò, killer in paese con le mani sporche e vestiti bruciati

di redazione Blitz
Pubblicato il 12 Ottobre 2015 - 18:59 OLTRE 6 MESI FA
Cocò, killer in paese con le mani sporche e vestiti bruciati

Cocò, killer in paese con le mani sporche e vestiti bruciati

COSENZA – I killer del piccolo Cocò Campolongo si fecero vedere in paese poche ore dopo il delitto: avevano le mani sporche e i vestiti anneriti, puzzavano di benzina. La notte precedente, tra il 16 e il 17 gennaio 2014, uccisero e bruciarono il corpicino di Cocò, 3 anni appena, insieme a quello di suo nonno, Giuseppe Iannicelli e della compagna marocchina di lui, Ibtissam Touss. E’ quanto si legge nelle 289 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare di Cosimo Donato detto Topo e Faustino Campilongo detto Panzetta, i due spacciatori accusati di essere gli autori della strage. A distanza di più di un anno e mezzo la Direzione distrettuale antimafia sembra essere venuta a capo del triplice delitto di Cassano allo Ionio, che sconvolse l’Italia. Una terribile storia di droga e di ‘ndrangheta con protagonista un nonno che temeva di finire ammazzato e per questo si faceva “scudo” del suo nipotino, sperando così di dissuadere i suoi nemici. Ma quelli non hanno avuto nessuna pietà.

Secondo l’accusa, i due arrestati spacciavano droga per conto di Giuseppe Iannicelli tra Firmo, Lungro ed Acquaformosa. Con il nonno di Cocò avevano anche un debito per una partita non pagata. I due sono accusati di omicidio premeditato e distruzione di cadavere, con l’aggravante di aver commesso il fatto al fine di agevolare l’attività della cosca degli Abbruzzese. In particolare, secondo la Dda di Catanzaro, sarebbero stati incaricati di attirare Iannicelli in una trappola. Al momento, però, non è stato accertato se siano gli autori materiali visto che al triplice delitto, secondo gli inquirenti, avrebbero partecipato anche altre persone.

Iannicelli, secondo le indagini dei carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Cosenza, era da tempo dedito allo spaccio di droga, prima con la cosca degli zingari, gli Abbruzzese, e poi con il sodalizio contrapposto dei Forastefano. Il contrasto con gli Abbruzzese risaliva alla cosiddetta “faida di Cassano”, tra il 2003 ed il 2004. Dissidio che si era acuito recentemente dopo che nella zona si era diffusa la notizia secondo cui Iannicelli sarebbe stato intenzionato a collaborare con la giustizia. Le voci parlavano di una presunta lettera scritta dall’uomo alla moglie mentre era detenuto ma mai trovata dagli investigatori, che non hanno neanche avuto conferme in tal senso. Tantomeno Iannicelli si è mai rivolto alle forze dell’ordine prospettando la possibilità di collaborare. Solo una volta, imputato in un processo per armi, l’uomo aveva indicato come il reale proprietario uno degli Abbruzzese che, tra l’altro, era deceduto.

Ma Iannicelli era inviso agli Abbruzzese anche e soprattutto per un’altra ragione: per la sua volontà di aprire un autonomo canale di approvvigionamento di droga che avrebbe compromesso il monopolio imposto dagli zingari. Le indagini si sono avvalse anche di un collaboratore di giustizia, detenuto da tempo, che avrebbe appreso alcuni particolari in carcere. Iannicelli cercava di allargarsi per guadagnare di più, così come intendevano fare anche i suoi due uomini di riferimenti a Firmo. Con gli accertamenti tecnici sono stati poi ricostruiti i movimenti degli indagati nell’arco temporale in cui sarebbe stato commesso il triplice omicidio. Grazie all’analisi delle celle radio individuate, gli uomini della Dda avrebbero accertato la presenza di Topo e Panzetta nelle immediate vicinanze del luogo in cui l’auto con i tre corpi all’interno è andata a fuoco.

Donato e Campilongo, sono detenuti dal dicembre scorso per tentata estorsione. I due avrebbero preteso da un imprenditore, con ripetute minacce, di essere assunti “fittiziamente”. Volevano essere pagati, in sostanza, senza prestare alcuna attività lavorativa.