“Quand’abbiamo aperto i commenti a «Italians» – nel 2011 – ci siamo accorti che occorrevano cinque persone per gestirli. Trenta scalmanati approfittavano della nuova vetrina per inveire, diffamare, pubblicare insulti sessisti o razzisti. Sapevano di rovinare il piacere della discussione a migliaia di lettori perbene? Certo. Non gliene importava nulla. Il più molesto usava dodici identità diverse, di cui due femminili. Ce ne siamo accorti perché tutti quei (pessimi) commenti arrivano dallo stesso indirizzo IP. Ovviamente, appena chiusa la sezione, lui e quelli come lui hanno cominciato a gridare: «Censura!». Troppo sciocchi per capire che la nostra libertà si ferma dove comincia quella degli altri”.
Oltretutto, ragiona Severgnini, “i siti d’informazione non hanno né la voglia né i titoli per diventare guardiani della morale pubblica“. Il rischio però è che tappando la bocca ai commenti, la violenza finisca per riversarsi poi sui social network. Severgnini a questo punto se ne lava le mani:
“È vero, purtroppo. Ma almeno non è più un problema dei giornali, che di problemi ne hanno abbastanza. Siamo giornalisti, più o meno bravi; non guardiani di uno zoo”.
Il dibattito è aperto, lo dimostrano le decine di commenti apparsi in calce all’articolo di Severgnini. Su tutti, Giorgio Sd osserva:
“Il cinismo non è un reato, basterebbe una registrazione con il codice fiscale ed in caso di reato e denuncia di qualcuno procedere. Non mi pare così difficile”.