2012, fuga dal San Raffaele. Dopo il crac a rischio la ricerca

Pubblicato il 18 Dicembre 2011 - 15:44 OLTRE 6 MESI FA

MILANO – Dalla terapia genica alle cellule staminali sono 523 i trials clinici, ovvero studi di nuovi farmaci o terapie, per provarne l’efficacia, e la sicurezza, che rischiano lo smarrimento dopo la tempesta giudiziaria che si è abbattuta sull’Istituto San Raffaele. La magnificente struttura costruita da don Luigi Verzè va incontro ad un affossamento della ricerca, con la conseguente fuga di cervelli.

A lanciare l’allarme è il quotidiano la Repubblica che a pagina 19 scrive: “Per tre mesi in estate e autunno fornitori hanno bloccato le consegne di reagenti e altro materiale essenziale per i lavoratori. I milioni del 5 per mille difficilmente affluiranno nelle casse di un ente che per mesi ha fatto parlare di sé a causa dei fondi neri”.

Fra i 45 istituti di ricerca e cura a carattere scientifico italiani, il San Raffaele è al primo postoper pubblicazioni scientifiche: 832 nel 2010, con una media di tre al giorno. Le atività scientifiche ammontano a 55 milioni l’anno. “Ma – avverte la Repubblica -anche se i soldi sono distinti dalle casse del San Raffaele, la gestione spetta alla Fondazione. Ecco perché il crac sta facendo vivere momenti difficili a un pilasto della ricerca in Italia”.

Sono 1482 i ricercatori impiegati al San Raffaele che si domandano cosa ne sarà del loro futuro. Intanto due tra i più prestigiosi ricercatori da gennaio lasceranno Milano: Giulio Cossu, direttore della divisione di medicina rigenerativa, cellule staminali e terapia genica e Michele De Palma, tra i più promettenti ricercatori di oncologia. Se è vero che fare nuove esperienze, fa parte del mestiere di ricercatore, è pur vero che nessuno oggi è disposto a rimpiazzarli. Matteo Iannacone, che ha lasciato il suo laboratorio di Harvard per lavorare al San Raffaele ha spiegato alla Repubblica: “L’istituto ha perso potere negoziale e credibilità. La nuova gestione, qualunque essa sia, deve subito far ripartire i motori”.

Luca Guidotti, capo del Centro dello studio per il fegato, precisa: “Per noi fermare un laboratorio per 4-5 mei significa perdere 2 o 3 anni di competitività rispetto agli altri gruppi di ricerca”. Non resta che attendere la nuova direzione: l’istituto, comunque, “resta una preda ambita”, assicura lo scienziato.