Emanuela Orlandi. Antonio Goglia: rapimento nato in Brasile

di Antonio Goglia
Pubblicato il 1 Novembre 2012 - 08:36 OLTRE 6 MESI FA

Emanuela Orlandi e il mistero del suo rapimento sono al centro di un articolo di Antonio Goglia, l’ex maresciallo dei carabinieri di San Giorgio a Cremano (Napoli), che da tempo conduce una sua ricerca e ha elaborato una ipotesi su cosa sia realmente accaduto alla bella ragazzina vaticana scomparsa nel fiore degli anni e della quale non si è saputo più nulla dal 22 giugno 1983. Nell’articolo l’autore insiste sulla pista brasiliana, della quale si è sempre più convinto.

Goglia chiede il  parere di Pino Nicotri sulle sue indagini, ipotesi e articoli chiede di poter pubblicare su Blitzquotidiano. Nicotri replica:

“Anche se non concordo affatto con le ipotesi o tesi prospettare da Goglia, devo riconoscere che è animato da buona fede, non offende nessuno, scova e analizza fatti e connessioni non sempre peregrini.

In questo suo articolo per esempio ci sono tre elementi interessanti:

+ le sue considerazioni riguardo l’espressione “gruccia di pappagallo”, utilizzata in una lettera a falsa firma Emanuela dai suoi finti rapitori per indicare un tipo di tortura;

+ la lingua usata a volte dai “rapitori” di cui si parla nella stessa lettera laddove si fa dire a Emanuela che si tratta di una lingua mai sentita prima. Potrebbe essere il brasiliano?

+ il fatto che il codice segreto 158 asseritamente utilizzato dai “rapitori” per comunicare via telefono direttamente col Vaticano corrisponde al numero di una articolo di legge brasiliana che si occupava appunto di torture.

Semplici combinazioni? Messaggi in codice per premere sul Vaticano? Indizi seminati ad arte per depistare? O passi falsi compiuti inavvertitamente da chi ha messo in piedi la sceneggiata del “rapimento” per coprire ben altro? Fatto sta che in questi ormai quasi 30 anni sulla scomparsa della Orlandi abbiamo assistito ai depistaggi più vari e alle varie ipotesi tanto clamorose quanto sempre basate sul nulla più assoluto, prive quindi anche di dignità”.

A maggior motivo c’è spazio anche per la pista Goglia, che si legge volentieri come un breve romanzo.

Emanuela Orlandi e gli eventi che fecero da sfondo alla sua scomparsa sono il tema di un saggio che ho letto di recente . Ho sempre ritenuto che la verità potesse essere ricercata in alcuni dei messaggi che pervennero agli organi di stampa, alla famiglia ed al legale da quest’ultima nominato: non in tutti, ma in alcuni, anche in quelli ritenuti falsi, artefatti o riscritti dai rapitori. In fondo stiamo parlando di un delitto e si è spesso sostenuto che …“non esiste il delitto perfetto”…

Domenica 28 agosto 1983, l’avvocato nominato dalla famiglia Orlandi, Gennaro Egidio, rende noto di aver ricevuto una lunga lettera indirizzata da Emanuela ai propri genitori: le autorità inquirenti la giudicano un falso. Oppure, semmai, una reinterpretazione riveduta e corretta da parte dei sequestratori di una lettera che la giovane Orlandi aveva avuto il permesso di scrivere. Una concessione alla prigioniera, una descrizione del suo stato utile a forzare gli animi di coloro ai quali era rivolto il ricatto di cui essa stessa costituiva una “contropartita”.

Nella nota, infatti, Emanuela Orlandi o il suo ghost writer descriveva le atroci torture a cui  sarebbe stata già sottoposta e delle pene che le sarebbero state inflitte in seguito se il Vaticano non avesse soddisfatto le richieste dei Suoi aguzzini.

….Descriveva con stupore di aver udito parlare di una “gruccia di pappagallo”.

Chiunque sia stato l’estensore di quel testo vi aveva inserito un riferimento ad una temibile pratica di tortura ampiamente usata in Brasile, durante la dittatura militare, nel periodo Anos de chumbo. Con il termine, Pau de Arara, si indica in portoghese il trespolo del pappagallo. Per analogia può essere riferito ad uno strumento utilizzato dagli agenti della polizia politica brasiliana contro i dissidenti politici.

Un’altra briciola sul cammino verso la verità. Ecco, io vorrei che un esperto di logica mi aiutasse a capire se un insieme di frazioni aventi lo stesso denominatore possono dirsi parti di uno stesso intero:

– 20 luglio 1578 scioglimento e successivo rogo della confraternita dei Marrani brasiliani

– Accademia Cultorum Martirum presieduta da Frati missionari in Brasile, missionologi brasiliani, redattori di testi sull’esperienza missionaria in Brasile

– Pau de Arara, la gruccia di pappagallo, strumento di tortura utilizzato in Brasile.

Come è ovvio, mi si perdoni la metafora elementare, individuare “mele marce” in un cesto non equivale a dire che tutte le mele sono marce. Così individuare elementi deviati e criminali all’interno di una comunità nulla toglie alla simpatia ed al rispetto per gli altri membri. E’ un assunto fondamentale del contratto sociale.

Questo articolo, senza mezzi termini, rappresenta un “J’accuse” nei confronti di quanti, migranti, fuoriusciti e pellegrini da un lato e missionari delle varie confraternite impegnate in Brasile dall’altro, spinsero la loro richiesta di intervento del Pontefice nei confronti del governo brasiliano fino a macchiarsi di orrendi crimini e segnatamente, si sostiene, “do sequestro relampago” di Emanuela Orlandi.

Il gruppo dei cattolici sudamericani iniziò ad incontrarsi a partire dal 1981, accompagnato in special modo dai Padri di San Carlo (Missionari di San Carlo Borromeo, Scalabriniani), ma sostenuto con spontaneo fervore anche da Frati Missionari appartenenti ad altri ordini, tra cui Barnabiti e Servi di Maria. A quest’ultimo ordine a cui è affidata la Chiesa di Santa Maria della Via, a due passi della Via della Dataria, appartenengono anche i fratelli Boff, tra i primi Teologi della Liberazione.

Da allora varie chiese della capitale e molte congregazioni religiose di Roma all’interno delle proprie chiese o nei dintorni delle medesime hanno offerto ospitalità alla comunità di migranti sudamericani. E’ il caso della Chiesa di Santa Maddalena, vicino al Pantheon o di Sant’Antonio dei Portoghesi. Quest’ultima così chiamata proprio per l’abitudine che avevano i lusitani ed i brasiliani di riunirvisi sin dal XVII secolo.

La simpatica comunità brasiliana di Roma ebbe un incremento significativo a partire dalla metà degli anni ’70, la sua identità culturale e religiosa trovò modo di esplicarsi in diversi punti di incontro come bar, ristoranti ed altri punti di ritrovo.

Già precedentemente Paolo VI ebbe a cuore, avvertì l’esigenza di sostenere quanti nel mondo pativano gli stenti e fuggivano o migravano creando un’apposita struttura. Si tratta della Pontificia Commissio de Spirituali Migratorum atque Itinerantium Cura, Il Pontificio Consiglio per i Migranti di cui l’Opera Romana Pellegrinaggi era ed è il principale strumento.

Improntato ad una sentita fede in Cristo il gruppo sudamericano, sempre più folto grazie alla comunione con altri gruppi di profughi ed alla partecipazione di laici e di laiche, dedicava la propria attività anche all’osservanza del culto religioso celebrando funzioni religiose pubbliche nella propria lingua e secondo uno stile tipicamente brasiliano alle quali partecipavano anche membri dei movimenti missionari e cattolici italiani soprattutto altoatesini.

E’ proprio qui che è dato ritrovarsi il riferimento ai fatti del 1578: la liturgia “carioca” era infatti molto simile a quella dei “neocatecumenali”, le funzioni religiose venivano celebrate in luoghi non consacrati,“occasionali”, anche da chi non rivestiva il ruolo di sacerdote. Fu proprio per questo che divenne l’oggetto di pressanti richiami delle Autorità Vaticane, ma non solo. Si trattava, infatti, di un gruppo” notevole”, prossimo alle posizioni più estreme del comunismo, che non sfuggiva all’attenzione della Polizia.

Fu proprio per questo che i sentimenti della colonia andarono esacerbandosi: fuggiti dalla doloroso realtà della madrepatria nella quale vigeva il feroce decreto legge 1002/69, che prevedeva al Capitolo II, rubricato” DO INCIDENTE DE INSANIDADE MENTAL DO ACUSADO”, l’internamento in manicomio per i dissidenti politici e, al famigerato articolo 158, si rammenti il codice 158 utilizzato dai sequestratori, l’esclusione di ogni tutela per il detenuto al fine di estorcere allo stesso la confessione,

Ritrovavano in Italia presso il Vaticano, un clima egualmente ostile che riproponeva in scala ridotta il conflitto sudamericano tra i “liberatori” e gli “oppressori”.

Da qui, l’organizzazione del gruppo a perpetrare il “sequestro relampago”, non per conseguire un vantaggio economico, ma per ottenere l’abolizione di quelle leggi oppure attirare l’interesse internazionale sulla condizione dei torturati in Brasile.

Per il Vicario di Giovanni Paolo II, cardinale Ugo Poletti, che fondò proprio in quegli anni la “Caritas” ed approvò successivamente la Fondazione “Migrantes”, fu di grande imbarazzo doversi districare tra i richiami da rappresentare ai “migranti” e il rispetto dovuto alla meritoria opera dei Missionaria, di cui egli era il rappresentante ed il portavoce, come già ampiamente osservato in altri scritti.

Quando il cardinale Poletti seppe della perdita di controllo totale sulla situazione della Orlandi e sul gruppo che la deteneva, cercò, attraverso canali massonici, che poi altro non vuol dire di conoscenza e di interesse, di mediare la situazione chiedendo l’intervento degli esponenti della comunità brasiliana di Boston, la più grande al mondo. Intervento che giunse nel settembre 1983 con esiti incerti.

Successivamente, per la giovane Orlandi potrebbe essersi aperta la pista verso Bolzano, in Alto Adige, terra che tanti missionari italiani aveva dato all’impegno in Brasile, pista che potrebbe essere stata percorsa, questa si, dai “prepotenti” di cui alla famigerata “cripta”.

Alla fermata dell’ autobus dove Emanuela sarebbe stata vista l’ultima volta e avrebbe detto di essere in attesa di qualcuno per iniziare un lavoro per l’Avon, rifletto sul fatto che l’Avon era presente sul mercato brasiliano già dal 1959 e che in Italia si era stanziata circa dieci anni dopo. Per i giovani provenienti dal Brasile rappresentava, dunque, un riferimento lavorativo come per altro lo fu in quegli anni, della mia prima giovinezza, per le fanciulle italiane.

Resto adesso con una sola domanda che si propone insistentemente: in quella Roma brasiliana sulla quale regnava l’VIII Re, quanto ci avrà messo la bruna dai capelli ricci, dall’accento brasiliano, a convincere la romanista Emanuela a seguirla……