Fisco, giudice: “Dolce e Gabbana beneficiari, evasione con società estera”

di Igor Gregantida
Pubblicato il 17 Settembre 2013 - 21:19 OLTRE 6 MESI FA
Fisco, giudice: "Dolce e Gabbana beneficiari, evasione con società estera"

Gli stilisti Dolce e Gabbana (Foto LaPresse)

(da Ansa) MILANO – Domenico Dolce e Stefano Gabbana erano a conoscenza di quella operazione di ”estero-vestizione’‘, di cui erano, tra l’altro, ‘‘beneficiari effettivi” e a cui hanno fornito un ”essenziale contributo causale”. Operazione che sarebbe stata realizzata per evadere il Fisco e che ha arrecato un ”danno morale” all’Agenzia delle Entrate.

E’ cosi che, in sostanza, il Tribunale di Milano spiega le ragioni per cui ha deciso, lo scorso giugno, di condannare i due stilisti a un anno e 8 mesi (pena sospesa) per una presunta evasione fiscale. Una sentenza che, tra l’altro, è stata seguita, lo scorso luglio, da una lunga ‘querelle’ tra il Comune di Milano e i due fondatori della multinazionale della moda, dopo le parole dell’assessore al Commercio Franco D’Alfonso, secondo cui l’amministrazione non avrebbe dovuto concedere spazi a evasori come loro.

Frasi a cui Dolce e Gabbana avevano reagito con una serrata di tre giorni delle loro boutique in città. Lo scorso 19 giugno, gli stilisti sono stati condannati assieme al loro commercialista e ad altri 3 manager, tra cui Alfonso Dolce, fratello di Domenico. Al centro del processo una presunta evasione che sarebbe stata realizzata, secondo le indagini dei pm Laura Pedio e Gaetano Ruta, con una ‘estero-vestizione’: con la creazione nel 2004 di una società fittizia in Lussemburgo, la Gado, per ottenere vantaggi fiscali.

Tuttavia, la cifra contestata di un miliardo di euro si è ridotta con la sentenza a circa 200 milioni e la condanna è arrivata solo per il reato di omessa dichiarazione dei redditi. Mentre per la restante parte (circa 800 milioni di euro) e per il reato di dichiarazione infedele dei redditi i due stilisti, difesi dai legali Massimo Dinoia, Fortunato Taglioretti e Armando Simbari, sono stati assolti.

”Si tratta di una operazione articolata – chiarisce il giudice Antonella Brambilla nelle motivazioni depositate oggi – che presenta molteplici aspetti di criticità, ciascuno dei quali richiede autonomo ed approfondito accertamento, anche perché non tutti risultano penalmente rilevanti”. Secondo la difesa, infatti, le motivazioni della sentenza ”riconoscono e ribadiscono un principio fondamentale, che invano i pubblici ministeri avevano tentato di bypassare: nessuno può essere condannato a pagare imposte su redditi che non ha mai percepito”.

E la sentenza, nella parte in cui sono stati assolti, ”è un doveroso riconoscimento alla piena legittimità della condotta dei due stilisti” che hanno ”pagato regolarmente tutte le imposte, fino all’ultimo centesimo”. Secondo il giudice, però, ”la condotta di estero-vestizione si è tradotta nella costituzione di una società solo apparentemente allocata in Lussemburgo e non dotata di alcuna struttura amministrativa gestionale, contabile etc. idonea a legittimare un dubbio circa la disciplina impositiva applicabile”.

E – si legge sempre nelle motivazioni – ”la consapevolezza di tale fatto costituisce elemento soggettivo certamente integrato in capo” ai ”due stilisti”. Erano loro, infatti, scrive il giudice, i ”soggetti che avendo ceduto i marchi alla società” lussemburghese ”ne conoscevano evidentemente la struttura e le finalità”. Sempre secondo il Tribunale, ”la stessa costituzione di Gado non può ritenersi che finalizzata a trasferire in Lussemburgo il reddito derivante dalla ‘royalties’ e quindi certamente tale progetto, tenuto conto che i due stilisti avevano sottoscritto il fondamentale contratto di cessione, pare elaborato in realtà nel loro esclusivo interesse”.

Su questo punto i difensori ribattono che ”le risultanze processuali” sono state ”travisate o dimenticate dal Tribunale” e confidano nell’appello. Il giudice, infine, spiega che bisogna tener conto sì ”dell’ingente importo dell’imposta evasa ma anche dell’avvenuto pagamento documentato”. Ed è per questo che il danno per l’Agenzia delle Entrate, parte civile, può ritenersi ”limitato essenzialmente al danno morale non tanto, ovviamente, per l’esposizione a legittime critiche in merito agli accertamenti, quanto per il pregiudizio che condotte particolarmente maliziose cagionano alla funzionalità del sistema di accertamento ed alla tempestiva percezione del tributo”. .