Partite Iva e co.co.pro., nuovi rischi del lavoro precario dopo la legge Fornero

Pubblicato il 26 Agosto 2012 - 10:02 OLTRE 6 MESI FA
Elsa Fornero

ROMA – Dopo un mese dall’entrata in vigore della riforma Fornero si vedono i primi effetti sul mercato del lavoro. Sia negativi, scrive il Corriere della Sera in una lunga inchiesta, come la difficoltà di rinnovare i contratti a termine, sia positivi, come la decisione presa da alcune aziende di stabilizzare i precari.

Nei piani del governo quei quattro lunghissimi articoli dovrebbero aiutare i giovani a trovare un’occupazione, impresa non facile visto che sotto i 24 anni è senza lavoro un italiano su tre.

Per questo la riforma Fornero è stata costruita con l’obiettivo di frenare i contratti a termine, quelli di collaborazione, le partite Iva e tutte quelle forma di precarietà che l’anno scorso hanno coperto quasi 7 assunzioni su dieci.

Indicando come principale canale d’ingresso l’apprendistato, un misto fra lavoro e studio che impegna l’azienda a formare un giovane ottenendo in cambio un generoso taglio dei contributi da pagare. Il passaggio non è semplice. Perché è vero che la riforma dovrebbe favorire la crescita, parola magica contenuta anche nel titolo della legge.

Ma purtroppo è vero anche il contrario: senza crescita, senza l’economia che gira, è difficile spingere un imprenditore ad assumere. Sia a termine che con un contratto stabile, sia ad agosto che a settembre.

Il primo nodo è venuto al pettine dalla Rai. Più di un terzo delle persone che lavorano nei programmi di intrattenimento e approfondimento sono a partita Iva. Più di due mila persone, molte delle quali andrebbero regolarizzate, visto che la riforma fa scattare l’assunzione se l’80% del reddito arriva dalla stessa azienda e sarebbe quindi da considerare un dipendente mascherato.

Poi sono state allungate le pause tra un contratto e l’altro, fino a 90 giorni. Ed è qui il vero problema. Perché, almeno per il momento, a venire galla non è tanto la trasformazione dei vecchi contratti a termine in qualcosa di più stabile. Ma, più semplicemente, la difficoltà a rinnovare quelli esistenti.