Gaspare Spatuzza: “La prepotenza mafiosa dei Triassi a Ostia. Sul litorale romano controllavano tutto”

di Gianluca Pace
Pubblicato il 21 Febbraio 2014 - 13:28 OLTRE 6 MESI FA
Gaspare Spatuzza

Gaspare Spatuzza

ROMA, 20 FEB – “Tutto quello che si muove: mobile, immobile, umano, anche l’aria, è controllato dal responsabile di zona. Così era per me a Brancaccio, Palermo, e così era per i Triassi a Ostia. Non so se erano affiliati a cosa nostra, ma avevano una prepotenza mafiosa” dice il pentito Gaspare Spatuzza, in collegamento audio da una località segreta, chiamato ieri a deporre nel processo contro i clan Triassi-Fasciani, il processo nato dopo l’operazione “Alba Nuova“, il blitz che smantellò parte della criminalità organizzata sul litorale romano. Blitz che partì anche con la collaborazione di due pentiti, lui, Spatuzza e Sebastiano Cassia.

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Nelle parole di Spattuza la storia dei fratelli Triassi, Vito e Vincenzo,  sposati con Felicia e Nunziata Caldarella, le figlie del latitante Santo Caldarella, ‘u Monaco, condannato per associazione mafiosa.

Sono le undici quando risuonano le parole di Spatuzza nell’aula bunker del carcere di Rebibbia. Dall’altra parte gli accusati, tutti quelli che hanno scelto il rito ordinario, compreso il vertice dei clan Fasciani e Triassi: Carmine Fasciani  (difeso da Gaetano Pecorella e Mario Girardi) e Vincenzo Triassi. In totale, 18, accusati di associazione a stampo mafioso. 

“Rispetto alla mafia siciliana, a Roma hanno tutta un’altra mentalità. Non si vogliono sporcare le mani direttamente, il romano cerca di farsi proteggere le spalle, agisce in seconda fila e però investire di più” aveva già raccontato Spatuzza ai pm.

Gaspare Spatuzza, nato a Palermo l’8 aprile 1964, soprannominato ‘u Tignusu, coinvolto nella strage in via D’Amelio contro Borsellino, tra gli esecutori dell’omicidio di Don Puglisi e nell’omicidio di Giuseppe Di Matteo (il ragazzino figlio di un collaboratore di giustizia poi sciolto nell’acido) scandisce bene le parole, e, interrogato del pm Ilaria Calò, racconta come entrò in contatto con la criminalità del litorale:

“L’amico Pino, legato ai fratelli Garofalo, una delle famiglie del mio mandamento, si lamentava per il comportamento dei Triassi. Diceva che se risolvevamo il problema, con lui potevamo fare affari. Droga e altro. Allora sposo la causa e salgo io a Roma per ucciderli”.

“E’ accaduto tutto tra il ’95 ed il ’97– racconta Spatuzza- Ero capofamiglia di Brancaccio e Capomandamento. Avevo un gruppo di fuoco peggio dei talebani”.

“Volevo avere una base logistica a Roma. Pino venne a Palermo, mi parlò di affari ma disse che prima bisognava ammazzare i Triassi”.

Poi il cambio di casacca:

“L’amico Pino era malato di Aids e perciò non era affidabile. Se lo arrestavano diventava guardia. I Triassi invece avevano il controllo di tutto, anche attività lecite come palestre ed altro”.

“Non ero un mercenario – continua Spatuzza – non ero in un programma omicidi. E come capo mandamento potevo uccidere senza chiedere il permesso. Neanche le armi erano un problema, la nostra potenza era superiore a tutti. Però facevo riferimento a Matteo Messina Denaro  e prima di uccidere i Triassi, che erano legati ai Caruana-Cuntrera, ho chiesto se davo dispiacere a qualcuno. Non volevo fare errori, sono una persona responsabile. Quando ho deciso di non ucciderli, ho chiesto di incontrali. Li ho visti una sola volta, in un bar su una strada a due corsie, poi Garofalo ha mantenuto i rapporti”.

Poi però nel 1997 Spatuzza viene arrestato. “Nel 1997 per fortuna mi hanno arrestato” dice ‘u Tignusu.