Genova, alluvione 1970: Bisagno, per lo Stato ancora un fiume fantasma?

Pubblicato il 5 Novembre 2011 - 11:29| Aggiornato il 17 Giugno 2015 OLTRE 6 MESI FA

Era il 7 ottobre 1971, triste quanto dimenticato anniversario della alluvione dell’anno precedente. La Stampa di Torino, sempre molto attenta ai fatti genovesi, pubblicò un articolo intitolato: “Genova: un anno dopo l’alluvione “Si è speso poco per ricostruire””.

Nel sottotitolo sommario, c’era scritto: “Ancora accantonata una parte dei 25 miliardi stanziati – I tecnici dicono: « Se piove sono guai » – La lentezza della burocrazia e le polemiche tra Comune e Genio Civile – Un piano per coordinare i soccorsi in caso di necessità – Lo scorso ottobre il disastro causò trentacinque morti e danni per 168 miliardi”.

A rileggere quell’articolo, mentre Genova è di nuovo sotto l’acqua del Bisagno e comincia a piangere i suoi nuovi morti, sembra di fare uno strano sogno. Per certi versi un incubo, per altri una barzelletta di dubbio gusto.

Il corrispondente della Stampa da Genova tracciava, fin da allora, un mesto bilancio: “Ad un anno dall’alluvione che sconvolse Genova, causando 35 morti e danni per 168 miliardi, ben poco è stato fatto per rimediare ai danni e nulla per prevenire nuovi disastri. Soltanto una parte dei 25 miliardi stanziati per le riparazioni è stata spesa. Si teme che una nuova ondata di maltempo (ma in questi giorni splende il sole e non piove da settimane) provochi nuovi danni. « Se piove sono guaì — dice un tecnico del Comune, — ci sono torrenti che non hanno più letto e non un sasso delle migliaia e migliaia di metri cubi trascinati a valle dalle piene di un anno fa è stato tolto ».

“Da qualche mese le ruspe hanno cominciato a ripulire l’ultimo tratto del Bisagno; ma chi ne risale il corso, o si addentra in una valle laterale, quella del Geirato, ad esempio, ha l’impressione che il tempo si sia fermato. Qualcosa è stato fatto sul Leira, ma non basta a dare la tranquillità alla gente. C’è chi spera nelle leggi della statistica: « Eventi come l’alluvione del 7 e 8 ottobre 1970 — dice un meteorologo — hanno cadenza bisecolare: ne capita uno ogni duecento anni ». Ma c’è anche chi teme che un po’ di pioggia basti.

“Ancor prima dell’alluvione, ogni volta che pioveva un po’ più del solito, il Leira, che l’anno scorso ha causato danni e morti a Voltri, usciva dal suo letto, allagando negozi e scantinati. Se succede di nuovo, dopo il dramma vissuto dodici mesi fa, come reagirà la gente?

« L’esperienza dell’ alluvione — dice il vicesindaco di Genova, Fulvio Cerofolini — ci ha messo sull’avviso. Il Comune si è fatto promotore di una serie di accordi tra i vari enti, perché i mezzi di soccorso e di pronto intervento siano coordinati con efficacia, perché non si corra tutti da una parte o dall’altra, lasciando scoperte intere zone. Non potendo agire sulle cause, agiamo stigli effetti: per eliminare le cause, ci vogliono ben altri mezzi ».

Il disastro dell’anno scorso è considerato eccezionale, fuori di ogni possibile previsione: in 24 ore, dal 7 all’8 ottobre, caddero su Genova, secondo le zone, dai 400 ai 900 millimetri di pioggià: quanti, di solito, ne cadono in un anno. Per questo, spiegano gli esperti, prima il Leira, la sera del 7; poi il Polcevera; infine il Bisagno, nel pomeriggio dell’8, strariparono con violenza mai vista, travolgendo case, strade, auto: i morti furono 35, i danni si valutarono in 168 miliardi. I cadaveri di alcune delle venti persone uccise dal Leira, a Voltri, furono trovati mesi dopo in Francia.

Alluvioni di minore portata sono abbastanza frequenti: a Genova, nel dopoguerra, si ricordano quelle del ’45 e del ’53. Il problema ha dunque tre aspetti: essere pronti a fronteggiare i danni, riparare quelli di un anno fa, evitare che il disastro si ripeta.

In questi giorni, il sen. Gianni Di Benedetto ha presentato al governo un’interrogazione. Chiede se sia vero che « su 84 rivi e affluenti vari del Bisagno e del Polcevera, venti sono stati sgomberati dal comune di Genova e quattordici ad opera del Genio Civile. Per il resto nulla sarebbe stato fatto e la condizione dei corsi d’acqua è la stessa lasciata dall’alluvione, cioè con i greti completamente ostruiti ».

Ammette Cerofolini: « La situazione denunciata è abbastanza aderente alla realtà. Due sono le cause: stanziamenti limitati rispetto al fabbisogno, tempi tecnici che non consentono di spendere in breve tempo le somme necessarie. Anche per l’alluvione siamo stali sottoposti alle solite procedure defaticanti, lunghissime ».

Per riparare i danni dell’alluvione, il Comune ha stanziato una ventina di miliardi; altri cinque li ha ottenuti dallo Stato il Genio j Civile (che, pare, ne aveva i chiesti trenta): devono servire per rifare le strade franate, gli argini cancellati, i ponti caduti, per liberare il greto dei torrenti, per rimettere in sesto le case.

Ma soltanto una parte dei lavori è già stata eseguita o almeno cominciata: alcune opere sono state appaltate soltanto da pochi giorni. Tutti danno la colpa alla burocrazia. Unica eccezione sono i lavori alle frane del «Biscione» (un’ala del gigantesco caseggiato crollò, perché le colline indebolite dalle piogge avevano ceduto). Sotto il controllo del pretore Pierandrea Mazzoni, è stato fatto ormai quasi tutto e ogni pericolo di nuovi cedimenti, almeno in quel punto, è stato eliminato.

E per evitare nuove alluvioni? « Dopo che per cinquantanni questi problemi sono stati ignorati — è sempre Cerofolini che parla — non si può pretendere di risolverli in un giorno. E’ certo che quel poco che si fa adesso nella parte terminale dei torrenti non serve a molto. I torrenti vanno imbrigliati a monte ».

Le alture di Genova sono pelate: ogni estate gli incendi divorano quel poco che resta. « Quando piove — dice un tecnico — non c’è nulla che trattenga l’acqua: in dieci minuti è a fondo valle ». Per un lavoro del genere occorrono decine di miliardi e il groviglio delle competenze si fa più complesso: agli enti locali interessati e al Genio Civile (ministero dei Lavori Pubblici) si aggiunge infatti il ministero dell’Agricoltura e Foreste.

« Qui a Genova si bisticcia la miseria — commenta l’assessore comunale Franco Ghigliotti —. Il nostro bilancio non basta a far fronte a tutti gli impegni di una grande città. Il Genio Civile è senza soldi e non gliene danno: la nostra è una lite tra poveri ».

Dei cinque miliardi assegnati al Genio civile, un paio sa ranno impiegati per sistemare i torrenti: basteranno appena a ricostruire qualche argine. I rivi che solcano i monti genovesi sono 140: le cifre che si dovrebbero spendere per un lavoro di prevenzione ben fatto danno il capogiro.

C’è voluta comunque l’alluvione perché lo Stato tirasse fuori dei soldi per torrenti come il Bisagno e il Leira: « L’alluvione — spiega un tecnico — ha fatto scattare la legge del ’45 che consente l’intervento statale anche per fiumi non classifificati. Prima dell’ottobre ’70, infatti, il Bisagno e il Leira non esistevano per lo Stato. Non basta che il Bisagno ci sia, che il Genio Civile abbia l’ufficio proprio sulla copertura del torrente, nell’ultimo chilometro (la sezione dì deflusso, tra l’altro, fu calcolata sbagliata, ed è matematico che ad ogni piena il Bisagno straripi, se a monte non saranno costruiti dei canali “scolmatori”)».

Aggiunge: «Occorre che l’esistenza del Bisagno sia stabilita giuridicamente, che il corso d’acqua sia “classificato”. Per questo ci vuole un consorzio tra enti e privati interessati, ci vogliono progetti di opere protettive: in tanti anni solo le industrie che sorgono sulle sponde del Polcevera (ci sono importanti aziende Iri come Vltalsider) sono state capaci dì consorziarsi, anticipando 750 milioni per i lavori più urgenti. Una discarica sulla quale erano sorte diverse piccole fabbriche ha ridotto la sezione di deflusso del Polcevera e il torrente è straripato, ma i danni sono stati molto minori che nel ’53 e tutti hanno riconosciuto che i soldi per il consorzio sono stati spesi bene ».