Giampiero Tocco ucciso dalla mafia: il disegno della figlia portò all’arresto dei killer

di Redazione Blitz
Pubblicato il 30 Maggio 2017 - 10:55 OLTRE 6 MESI FA
Giampiero Tocco ucciso dalla mafia: il disegno della figlia portò all'arresto dei killer

Giampiero Tocco ucciso dalla mafia: il disegno della figlia portò all’arresto dei killer

PALERMO – Una finta pattuglia della polizia lo sequestrò a Palermo la sera del 26 ottobre 2000 e lo uccise. Con lui in auto c’era la figlia di 6 anni, che disegnò il sequestro. Un disegno che ha permesso di identificare i killer della mafia che uccisero Giampiero Tocco, sospettato dai carabinieri dell’omicidio del boss Giuseppe Di Maggio, e i mandanti Salvatore e Sandro Lo Piccolo. Il 30 maggio grazie alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Antonino Pipitone e anche grazie a quel disegno utilizzato dai carabinieri, sono stati individuati gli altri 4 presunti responsabili che ancora mancavano all’appello. Si tratta di Freddy Gallina, Vincenzo e Giovan Battista Pipitone e Salvatore Gregoli.

La piccola attraverso il disegno svelò la dinamica del sequestro riproducendo la scena che aveva vissuto. Era in auto col padre, quando quattro mafiosi travestiti da poliziotti lo fermarono intimandogli di accostare. Tocco, sospettato dai carabinieri dell’omicidio del boss Giuseppe Di Maggio, era intercettato. Nella macchina erano state piazzate delle microspie che captarono l’angosciosa telefonata fatta dalla bambina alla mamma. “Mamma i poliziotti l’hanno portato via, l’hanno arrestato”, disse la bimba quella sera.

Gli investigatori incrociando le dichiarazioni di Pipitone con quelle di altri due pentiti, Francesco Briguglio e Gaspare Pulizzi, gli ultimi due già condannati, hanno accertato che il pentito e Salvatore Gregoli inscenarono (con l’aiuto di Freddy Gallina, Gaspare Pulizzi, Damiano Mazzola, Sandro e Salvatore Lo Piccolo che fungevano da “staffetta”), il finto posto di controllo della Polizia, indossando delle apposite pettorine ed utilizzando un’autovettura con lampeggiante per fermare il fuoristrada, sequestrare Tocco e condurlo in un’abitazione a Torretta. Secondo le accuse, Giovan Battista e Vincenzo Pipitone, poi, insieme ai Lo Piccolo interrogarono e poi strangolarono la vittima, mentre Pulizzi e Gallina, nei giorni precedenti il delitto, effettuarono i sopralluoghi preliminari lungo l’itinerario partecipando poi alla staffetta di supporto ai finti poliziotti. Sempre loro due caricarono il cadavere all’interno di un’auto e lo trasportarono in contrada Dominici di Torretta, dove venne sciolto nell’acido alla presenza di Angelo Conigliaro, morto nel frattempo, e dei tre Pipitone.

I mandanti furono i capimafia Salvatore e Sandro Lo Piccolo, già condannati all’ergastolo insieme anche a Damiano Mazzola, che era nell’auto con i falsi poliziotti incaricati di fermare la macchina di Tocco. Dodici e otto anni hanno avuto invece i pentiti Gaspare Pulizzi e Francesco Briguglio. Grazie alle rivelazioni di Pipitone, ex capomafia di Carini, si è fatta luce sugli ultimi aspetti non chiariti del delitto e si è accertato il ruolo di Freddy Gallina, Vincenzo e Giovan Battista Pipitone, zii del collaboratore di giustizia, nomi storici di Cosa nostra, detenuti e già arrestati per il maxiprocesso e di Salvatore Gregoli.

Negli ambienti mafiosi si sapeva che era lui l’autore dell’omicidio di Di Maggio e durante la veglia funebre la madre, intercettata, avrebbe detto ai parenti: “Giampiero”, alludendo a Tocco. Al padrino Tocco avrebbe risposto: “Uno molto in alto “, alludendo al boss Bernardo Provenzano. E il capomafia di San Lorenzo avrebbe replicato: “tu non hai capito che quello in alto sono io”. Dopo l’interrogatorio da parte del boss la vittima fu strangolata e il suo corpo venne sciolto in un bidone di acido. Secondo i racconti dei collaboratori di giustizia, i mafiosi che parteciparono al delitto si sarebbero spartiti i vestiti e gli oggetti che la vittima aveva addosso.