Giornale: Confisca dei beni? Non serve la condanna, basta un sospetto

di Redazione Blitz
Pubblicato il 7 Agosto 2014 - 06:34 OLTRE 6 MESI FA
Giornale: Confisca dei beni? Non serve la condanna, basta un sospetto

Giornale: Confisca dei beni? Non serve la condanna, basta un sospetto

ROMA – Basta il sospetto di un qualunque reato perché i giudici possano confiscare i beni dell’imputato/accusato: è questa l’interpretazione che Patricia Tagliaferri del Giornale dà di una sentenza, la numero 33451 della Cassazione (scarica il pdf), datata 29 luglio, che respinge il ricorso di un calabrese condannato per associazione di stampo mafioso.

L’uomo si appellava contro la confisca dei beni disposta nei suoi confronti dal Tribunale di Milano, sostenendo che provenissero da attività legali, anche se non dichiarate al Fisco. I beni erano stati sequestrati all’imputato proprio perché era stata calcolata una sproporzione fra i beni posseduti e la sua dichiarazione dei redditi. Ma l’uomo aveva in passato aderito a un “condono tombale”, il che avrebbe fatto uscire dall’area dell’illegalità il patrimonio da lui posseduto.

Una questione che poneva problemi giurisprudenziali difficili da risolvere, per la quale la prima sezione ha “scomodato” le Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Scrive Tagliaferri che la sentenza non riguarda solo chi, come l’imputato, è accusato di un reato grave come l’associazione mafiosa, ma anche chi sia sospettato di infrangere la legge in altri modi meno penalmente rilevanti:

“C’era molta attesa negli uffici giudiziari per questa pronuncia, perché anche se per i non addetti ai lavori la materia delle misure di prevenzione è ostica, le conseguenze possono ricadere su chiunque sia anche solo sospettato di vivere infrangendo la legge. Per gli ermellini, infatti, non è necessario distinguere se le attività illegali siano o meno di tipo mafioso «essendo sufficiente la dimostrazione dell’illecita provenienza dei beni confiscati, qualunque essa sia, anche se gli stessi costituiscano il reimpiego dei proventi dell’evasione». Sicuramente, ritiene la Corte, «la frode fiscale integra ex se attività illecita anche qualora non integri reato».

«Né si può ignorare – si legge nella sentenza – che la sottrazione di attività pur lecite agli obblighi fiscali inevitabilmente porta con sé altre connesse illiceità». E chi credeva di aver sanato la propria posizione con il fisco aderendo ai passati condoni, non è immune da confisca. I giudici si soffermano anche su questo. «Il cosiddetto “condono tombale” – ricordano – non sposta i termini della questione: ed infatti non rileva che a seguito del perfezionamento dell’iter amministrativo le somme di cui all’evasione fiscale entrino a far parte legittimamente del patrimonio del proposto, dal momento che l’illiceità originaria del comportamento con cui quest’ultimo se l’era procurate continua a dispiegare i suoi effetti ai fini della confisca». Le Sezioni Unite osservano che quando c’è evasione fiscale è evidente che gli utili vengano reimpiegati nel circuito economico dell’evasore «con una confusione di utilità lecite-illecite che è proprio quello che la normativa vuole impedire».

Tra i giuristi la sentenza è stata accolta con un certo scetticismo. «Ritengo sia una pronuncia non condivisibile – commenta l’avvocato Nicola Madia, dottore di ricerca in Diritto e procedura penale alla Sapienza di Roma – perché in questo modo lo Stato si appropria dei beni dei cittadini non condannati ma sospettati di reati, non solo di mafia. Anche se il cittadino dimostra che i beni sono di provenienza lecita, pur se in parte derivanti da evasione fiscale, determinando in favore dello Stato un ingiusto arricchimento. Anche perché lo Stato, per lo meno in passato, ha sostanzialmente accettato e perdonato l’evasione tramite condoni, così che appare schizofrenico che oggi si riprenda quei beni acquistati dai privati con soldi regolarizzati sul piano fiscale. Inoltre così il cittadino viene punito due volte: con le sanzioni tributarie connesse alla frode fiscale e con la confisca dei beni».