Guerra del panino a scuola. Mensa contestata, protesta dilaga

di redazione Blitz
Pubblicato il 26 Settembre 2016 - 09:08 OLTRE 6 MESI FA
Guerra del panino a mensa: dopo Torino è effetto domino

Guerra del panino a mensa: dopo Torino è effetto domino

ROMA – La guerra del panino dilaga in tutta Italia. Dopo la sentenza del Tribunale di Torino che ha riconosciuto il diritto degli alunni a portarsi il pasto da casa, è pioggia di richieste in molte scuole per disdire il servizio mensa. Quella che sembrava una disfida circoscritta alle 58 famiglie costrette a rivendicare il diritto a suon di ordinanze dal giudice, si è tramutata in una vera e propria epidemia. I giudici di Torino avevano dato ragione alle famiglie giudicando “infondato” il reclamo del Miur contro la decisione che aveva di fatto riconosciuto il diritto di mandare i bambini a scuola con il pranzo al sacco. Ma la mensa non è solo un costoso servizio, da disdire in tempi di spending review, è anche un utile strumento per contrastare la dispersione scolastica, nonché una garanzia di almeno un pasto completo al giorno per un bambino su dieci. Senza contare le complessità di ordine igienico-sanitarie.

Nella diatriba panino sì/ panino no è intervenuta persino l’Anci che ha chiesto ai ministeri dell’Istruzione e della Salute indicazioni e linee guida su come si devono comportare i Comuni italiani. In realtà gran parte del problema è di tipo economico: secondo una rilevazione effettuata da Cittadinanzattiva il costo medio del servizio è di 80 euro al mese. Ben 7 i capoluoghi in cui ogni singolo pasto, per le famiglie con Isee pari a 19900 euro, supera i 4 euro: si tratta di Genova, Torino, Venezia, Campobasso, Potenza, Palermo, Cagliari. Ben 4 appartengono a Regioni del Sud, dove la capacità reddituale è più bassa. Inoltre, la possibilità di esenzione non è prevista per tutti i Comuni: manca a Napoli, Bologna, Genova, Campobasso, Torino, Palermo, Aosta e Trento.

Adriana Bizzarri, coordinatrice scuola di Cittadinanzattiva, osserva: “Il ricorso delle famiglie di Torino nasce proprio dalla protesta sorta a causa delle elevate tariffe della ristorazione scolastica. Altrove, i genitori e gli studenti lamentano la scarsa qualità del cibo servito a scuola. Ma, per risolvere un problema, si rischia di aprirne molti altri. La mensa a scuola rappresenta una grande conquista perché veicolo per la corretta alimentazione sin da piccoli e prezioso strumento di socializzazione, di confronto e di inclusione”.

Certo è che un costo medio di 80 euro al mese non è sostenibile per molte famiglie. “Ad essere svantaggiati – aggiunge Bizzarri – con l’introduzione del pasto da casa, sarebbero soprattutto i nuclei familiari più poveri, con l’effetto paradossale che i bimbi degli stessi non avrebbero più accesso nemmeno ad un pasto completo al giorno. Inoltre, non appare semplice consentire di consumare a scuola il pasto da casa, sia per quanto attiene l’organizzazione dei locali e del personale preposto, sia sotto il profilo del rispetto degli standard di sicurezza igienico-sanitaria, oltre che di specifici problemi di salute degli studenti”.

Che fare allora? “Andrebbe studiata la possibilità di rendere la ristorazione scolastica non più un servizio a domanda individuale, facoltativo ed extrascolastico, ma un servizio che rientri nel livello essenziale delle prestazioni. Nel frattempo, chiediamo al Miur e al ministero della Salute di individuare, insieme a tutti gli stakeholder coinvolti, linee guida operative per evitare il “fai da te” e orientare le scuole verso una efficace gestione della situazione determinata da questa recente sentenza”.