Hina Saleem, madre: Non giustifico mio marito ma lo perdono

di Redazione Blitz
Pubblicato il 22 Gennaio 2016 - 10:37 OLTRE 6 MESI FA
Hina Saleem, madre: Non giustifico mio marito ma lo perdono

Hina Saleem, madre: Non giustifico mio marito ma lo perdono

ROMA – Hina Saleem aveva uno stile di vita occidentale, troppo secondo la sua famiglia islamica originaria del Pakistan. Per questo motivo il padre nel 2006 l’ha sgozzata. La madre della giovane ha spiegato che l’omicidio non avvenne solo perché la figlia era “troppo occidentale”, ma che il marito agì per rabbia perché Hina aveva più volte ignorato i divieti paterni. 
 
Giusi Fasano nella rubrica 27° ora del Corriere della Sera riporta la storia della madre di Hina, la ragazza uccisa dal padre nel 2006 perché “troppo occidentale” e le parole della madre, che ha perdonato il marito nonostante ritenga sia giusta la sua condanna per l’omicidio:

“«All’inizio ce l’avevo con il mondo intero, con la vita. Pensavo: perché sta succedendo tutto questo? Perché proprio a me e alla mia famiglia? Poi ho capito. Era tutto già scritto, il destino aveva già deciso per Hina, per mio marito, per me. E allora ho trovato la pace che cercavo. Vivere senza Hina sarà per sempre il mio più grande dolore, ma Mohammed era e resta l’uomo della mia vita. È giusto che paghi per quel che ha fatto però io l’ho perdonato e non lo abbandonerò mai».

L’11 agosto 2006 Hina Saleem fu uccisa dal padre Mohammed. Sgozzata e seppellita nel giardino di casa, con l’auto di due parenti, con la testa rivolta alla Mecca:

” Le cronache raccontarono che fu sgozzata e seppellita con la testa rivolta alla Mecca. E quella ragazza che non viveva più in famiglia, che girava sempre in jeans e ombelico scoperto, che non aveva nessun vincolo di religione, diventò un simbolo, emblema della liberazione femminile dalla prigionia dei precetti islamici.

Sua madre Bushra è convinta che non sia così.

Chiede aiuto ai suoi figli per tradurre bene quel che vuole dire: «Mi creda, mia figlia è diventata il simbolo di una storia di integralismo che non è mai esistita. Mio marito è sempre stato un uomo buono e un padre esemplare, mai una volta ci ha obbligato a fare qualcosa. Quel giorno ha perso la testa in un impeto di rabbia, Hina era una ragazzina bravissima ma era finita in cattive compagnie e avevamo cercato di farglielo capire tante volte. In quel periodo ci chiedeva continuamente soldi e finché abbiamo potuto l’abbiamo aiutata. Quel giorno è stata colpa della rabbia…».

E il corpo rivolto alla Mecca e seppellito in giardino? «Non c’entra la religione» scuote la testa lei. «È stato solo panico. Noi eravamo tutti in Pakistan, Mohammed voleva prendere tempo solo fino al nostro ritorno, voleva aspettarci per raccontarci tutto e andare a costituirsi, come poi ha fatto».

I giudici della Cassazione hanno deciso nel 2010: 30 anni per Mohammed, padre che agì «non già su ragioni o consuetudine religiose o culturali, bensì sulla rabbia per la sottrazione al proprio reiterato divieto paterno», in sostanza per «un patologico e distorto rapporto di possesso parentale»”.