Ischia. Casamicciola 1883, l’anno del grande terremoto, 2mila morti. Il ricordo di Benedetto Croce
Pubblicato il 22 Agosto 2017 - 09:20 OLTRE 6 MESI FA
ROMA – Ischia. Casamicciola 1883, l’anno del grande terremoto, 2mila morti. Il ricordo di Benedetto Croce. “Casamicciola”, un nome che per antonomasia è diventato sinonimo di caos, putiferio, esplosione: oggi che assistiamo al risveglio terribile della terra sotto Ischia (2 morti, decine di feriti, il fiato sospeso per la sorte di due fratellini intrappolati nelle macerie alle 9 di mattina) non possiamo non ricordare il disastroso terremoto del 1883. Ci furono ben 2.313 morti: colpiti anche i comuni di Lacco Ameno e Forio, 1700 solo a Casamicciola.
Fra i sopravvissuti anche un giovane Benedetto Croce che assistette al crollo del borgo di pescatori e primi villeggianti: riferita agli standard di misurazione attuale, la magnitudo fu di 5,8, grosso modo come quello terribile di L’Aquila. Il suo è un racconto drammatico, il padre ingoiato dalle macerie, la sorella sbalzata verso il soffitto, lui che insieme alla madre precipita dal balcone. Genitori e sorella perirono nel disastro.
Rinvenni a notte alta e mi trovai sepolto fino al collo, e sul mio capo scintillavano le stelle, e vedevo intorno il terriccio giallo, e non riuscivo a raccapezzarmi su ciò ch’era accaduto, e mi pareva di sognare. Compresi dopo un poco, e restai calmo, come accade nelle grandi disgrazie. Chiamai al soccorso per me e per mio padre, di cui ascoltavo la voce poco lontano; malgrado ogni sforzo, non riuscii da me solo a districarmi. Verso la mattina (ma più tardi), fui cavato fuori, se ben ricordo, da due soldati e steso su una barella all’aperto.
Lo stordimento della sventura domestica che mi aveva colpito, lo stato morboso del mio organismo che non pativa di alcuna malattia determinata e sembrava patir di tutte, la mancanza di chiarezza su me stesso e sulla via da percorrere, gl’incerti concetti sui fini e sul significato del vivere, e le altre congiunte ansie giovanili, mi toglievano ogni lietezza di speranza e m’inchinavano a considerarmi avvizzito prima di fiorire, vecchio prima che giovane. Quegli anni furono i miei più dolorosi e cupi: i soli nei quali assai volte la sera, posando la testa sul guanciale, abbia fortemente bramato di non svegliarmi al mattino, e mi siano sorti persino pensieri di suicidio. (Benedetto Croce, Contributo alla Critica di me stesso, 1915)