Licata, “casa degli orrori”: disabili incatenati e a digiuno

di redazione Blitz
Pubblicato il 18 Gennaio 2016 - 13:59 OLTRE 6 MESI FA
Licata, "casa degli orrori": disabili incatenati e a digiuno

Licata, “casa degli orrori”: disabili incatenati e a digiuno (Foto d’archivio)

AGRIGENTO – Incatenati al letto, tenuti a digiuno per giorni o costretti a mangiare i propri escrementi per punizione. E’ quanto accadeva nella “casa degli orrori”, come l’hanno definita alcuni testimoni ascoltati degli inquirenti. L’hanno scoperta a Licata, in provincia di Agrigento: un centro di assistenza per minori disabili, in cui si perpetravano violenze e maltrattamenti indicibili.

L’operazione “Catene spezzate”, condotta dai carabinieri della compagnia di Licata, ha portato all’arresto di Caterina Federico, assistente sociale responsabile del centro. Indagato anche Salvatore Lupo, presidente del consiglio comunale di Favara (Agrigento), coinvolto in qualità di amministratore unico della cooperativa “Suami onlus”, proprietaria del centro.

I carabinieri sono riusciti a far luce su quanto accadeva all’interno della comunità grazie ai racconti delle vittime. Ad allertarli sono stati gli insegnanti della scuola che i ragazzi ospiti del centro frequentavano di giorno. In particolare dopo aver notato i disegni di una ragazzina che ritraevano bambini legati al letto, streghe cattive e altre mostruosità. Quei disegni, accompagnati dai racconti delle vittime e dalle foto delle ferite e dei lividi sui polsi hanno convinto i carabinieri a intervenire.

Se scoperti a mangiare una merendina, li legavano mani e piedi con lo scotch ad una sedia. Ad altri invece coprivano il capo con un lenzuolo e li prendevano a schiaffi. Per non parlare delle condizioni igieniche scadenti: all’interno della struttura veniva usata acqua contaminata da batteri coliformi. Mentre i pasti erano spesso preparati con cibi scaduti e mal conservati. Dalle indagini sarebbero poi emerse alcune intercettazioni di telefonate tra gli operatori della struttura: parlavano di come “calmare” i ragazzi e si confrontavano sui metodi da adottare.