Marco Prato: “Io non ho ucciso Luca Varani, ero succube di Manuel Foffo”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 24 Marzo 2017 - 10:36 OLTRE 6 MESI FA
Marco Prato: "Io non ho ucciso Luca Varani, ero succube di Manuel Foffo"

Marco Prato, Luca Varani e Manuel Foffo (foto da Giallo)

ROMA – Marco Prato, in carcere con l’accusa di omicidio, ribadisce tramite i suoi avvocati intervistati da Panorama di non aver ucciso Luca Varani: “Non sono stato io a colpirlo con il martello e con i coltelli. La verità è che non ho avuto il coraggio di fermare Manuel, ero succube della sua personalità”.

Il 5 marzo del 2016 i carabinieri di Roma entrano nell’appartamento di Manuel Foffo al Collatino, periferia est della capitale, e scoprirono il cadavere del 23enne Luca Varani con un coltello da cucina conficcato nel petto. Quasi cento ferite da punta e taglio, un festino a base di alcol e cocaina degenera in un’esecuzione sadica e brutale.

“Purtroppo ricordo quasi tutto di quella sera – dichiara a Panorama – Più di ogni altra cosa ricordo la paura e il senso d’impotenza in una situazione difficilissima. Io non ho ucciso Luca, non sono stato io a colpirlo con il martello e con i coltelli. La verità è che non ho avuto il coraggio di fermare Manuel, ero succube della sua personalità”.

Prato affronterà il rito ordinario davanti alla Corte d’assise, a differenza di Manuel Foffo che, con lo sconto dell’abbreviato, è stato condannato a trent’anni per omicidio volontario aggravato dalla crudeltà.

“Gli eccessi di una vita o di una piccola parte di essa – racconta – mi hanno esposto a qualunque incontro e rischio nella spasmodica ricerca dell’uomo che, come Manuel, suonasse le corde giuste o forse sbagliate… Ho subito volontariamente tanta violenza per assecondare maschi eterosessuali di cui ero invaghito e che mi facevano sentire femminile – ricorda -. Quando particolari così pruriginosi diventano pubblici, sono utili alla coscienza collettiva per puntare il dito anziché guardarsi allo specchio”. Che cosa direbbe a Foffo? “Manuel, abbandona l’odio – risponde Prato a Panorama -. Così come mi hai lasciato andare a morire, ora lasciami vivere e restituisci la verità”.

Quando si rifugiò nell’hotel di piazza Bologna, dopo fu arrestato per l’omicidio, abusò di farmaci, scrisse una sorta di testamento, chiedendo funerali laici e festosi con le note di ‘Ciao amore ciao’.

“E’ il mio brano preferito. Quel giorno volevo soltanto morire’. Quel che è accaduto non ha giustificazioni. Tuttavia, se la giustizia è verità, io non posso pagare per un reato che non ho commesso. Io non ho ucciso. Se osservati al microscopio o dietro il buco della serratura, tutti noi abbiamo un lato oscuro più o meno morale, più o meno accettabile, il mio è semplicemente venuto a galla!”.