Marò Incursori Marina: “Per la Achille Lauro eravamo pronti”

Pubblicato il 23 Febbraio 2016 - 12:12 OLTRE 6 MESI FA
Marò Incursori Marina: "Per la Achille Lauro eravamo pronti"

I Marò Incursori della Marina erano pronti a intervenire sulla Achille Lauro, dopo l’uccisione dell’ebreo americano Leon Klinghoffer da parte di un commando palestinese (nella foto una immagine del film con Burt Lancaster)

ROMA –  I nostri marò, gli incursori della Marina il cui intervento fu fermato in extremis dalla resa del commando di terroristi palestinesi che avevano assaltato il transatlantico italiano Achille Laurol’8 ottobre 1985, sono protagonisti della drammatica ricostruzione della tragedia, fatta da Fabio Pozzo sulla Stampa di Torino.
Sono passati più di 30 anni, ma leggere l’articolo di Fabio Pozzo dà una certa emozione ancora oggi.

Fabio Pozzo ha intervistato alcuni reduci dalla missione Achille Lauro nella sede dell’Associazione nazionale Arditi Incursori Marina, alla Spezia,

“tre stanze al Comando in Capo della Marina, il labaro con le medaglie d’oro, le foto di un passato eroico che richiama la Decima Flottiglia Mas e Mariassalto”.

L’assalto dei terroristi alla Achille Lauro arrivò inatteso:

«Chi si aspettava che il terrore potesse arrivare dal mare? Dopo abbiamo cominciato ad addestrarci sulle navi Costa con nuove tecniche di abbordaggio e con i primi elicotteri corazzati. Ci hanno addestrati i Sas britannici. Armi, tecniche, persino la terminologia, lupi i terroristi e pecore gli ostaggi. Ci hanno allertato per il rapimento Moro, per un Dc9 dirottato su Fiumicino: eravamo in un hangar, pronti all’azione» .

La volta della Achille Lauro (una nave un po’ sfigata, che subì 4 incendi, l’ultimo nell’Oceano Indiano la fece affondare), comunque, i nostri incursori della Marina scattarono rapidamente, il cuore e il coraggio compensarono lo svantaggio sulle Sas. Tutto era pronto perché gli incursori della Marina facessero il blitz. Erano altri tempi, quando i nostri uomini venivano imnpiegati con determinazione e coraggio, a differenza dell’ignavia dimostrata da Governo Berlusconi e alti comandi militari in casi più recenti di pirateria, come il caso del rimorchiatore Buccaneer, il cui equipaggio fu lasciato quattro mesi in mano ai pirati prima che il pagamento di un riscatto milionario, sempre negato, portasse alla loro liberazione.

Più scandaloso di tutti è il caso dei Marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone: sono tutti episodi di uno stesso film di vergogna per la povera Italia.
Tutto era pronto per il blitz a bordo della Achille Lauro che, nel sintetico racconto di Wikipedia,

“il 7 ottobre 1985, mentre compiva una crociera nel Mediterraneo, al largo delle coste egiziane, venne dirottata da un commando di quattro aderenti al Fronte per la Liberazione della Palestina (FLP): Bassām al-ʿAskar, Aḥmad Maʿrūf al-Asadī, Yūsuf Mājid al-Mulqī e ʿAbd al-Laṭīf Ibrāhīm Faṭāʾir”.

Asser Yarafat non era ancora maturo per il Premio Nobel per la pace che gli diedero 9 anni dopo. All’epoca c’era molta ambiguità e su tutto incombevano l’ombra del Settembre Nero  e quella dell’assalto al villaggio olimpico di Monaco di Baviera.

La sera stessa 60 incursori italiani del Col Moschin arrivarono alla base militare di Akrotiri, a Cipro, pronti a intervenire, seguendo un piano sviluppato insieme all’UNIS del COMSUBIN, presenti in fase di pianificazione.
Non ci fu bisogno del loro intervento, perché i terroristi si arresero.

Siamo all’alba del giorno dopo, 8 ottobre 1985:

“L’Operazione Margherita è in corso, ricorda Fabio Pozzo. Nelle acque egiziane, tra Alessandria e Porto Said, quattro terroristi del Flp di Abu Abbas hanno dirottato l’Achille Lauro: sulla nave da crociera italiana – 196 metri di lunghezza, riarmata Chandris – ci sono 344 membri d’equipaggio e 101 passeggeri (664 erano scesi a terra, convinti dal commissario di bordo Max Fico a visitare per 93 dollari il Cairo e le Piramidi). Prima dell’alba erano già stati aperti dal governo i fronti diplomatici e c’era stato il via libera per un piano d’intervento militare: la scelta era ricaduta sugli Arditi Incursori della Marina, sui parà del 9° Reggimento d’assalto Col Moschin e su un reparto della brigata San Marco”.

La rievocazione di Fabio Pozzo è resa viva dal racconto dei protagonisti, pronti a diventare eroi, pronti al sacrificio.
Gaetano Zirpoli, campano, capo Incursore della Marina, sapeva di aver tre ore per raggiungere la base. Il cercapersone si era messo a suonare e era scattato il conto alla rovescia:

«Arrivo al Varignano e mi dicono che devo partire. Non riesco nemmeno a prendere lo spazzolino, solo la borsa con le dotazioni da combattimento. Mi peso sul piazzale, per il calcolo dell’assetto dell’elicottero, salgo sul pulmino e quando arriviamo sulla pista di Luni ci sono già le pale dell’SH-3D che scaldano l’aria».

Danilo Gattoni, piemontese, tenente di vascello Incursore:

«La sera precedente ero rimasto a casa, con mia moglie. Il televisore spento. Mi avverte il capoguardia l’indomani alla base: “Guarda che il team è già andato”. L’ordine è di preparare i ferri del mestiere. A mezzogiorno sono su una Campagnola con i colleghi, due specialisti in lanci col paracadute come me e altrettanti esperti in cariche esplosive, diretto a Pisa».

 Antonio Brustenga, capo Incursone, umbro, basco verde col 15° corso (Gattoni è del 24°, Zirpoli del 28°: i corsi sono cominciati nel 1952, ad oggi sono stati superati da poco più di 900 uomini; quest’anno in sei),

era già al Varignano, la base dei Navy Seal italiani che domina il Golfo della Spezia. In servizio nell’ufficio d’intelligence, era stato tra i primi a sapere. «Organizziamo gli invii del personale e gestiamo le informazioni. In principio non conosciamo il numero dei dirottatori né, finché non si alzano gli aerei ricognitori Breguet-Atlantic, la posizione della nave. Mancano anche i piani tecnici della Lauro, indispensabili per individuare aree idonee per il rilascio degli operatori e i locali ostaggi: non spunteranno mai fuori. Quando poi entra in azione il Vittorio Veneto le informazioni giungono direttamente a bordo dell’unità e noi restiamo di supporto».

Walter Braccini, spezzino, allora tenente di vascello, 22° corso Incursori, comandante dei tiratori scelti, era al Varignano:

«Tre le soluzioni: arrivare sulla Lauro dall’alto con gli elicotteri, raggiungerla dal mare con i battelli o agire con un’azione combinata. L’ipotesi battelli è però scartata, perché la nave era troppo veloce. Navigava a 20 nodi, le nostre unità non superavano i 10. Si è pensato anche di sabotarla, per fermarla».

Racconta Gaetano Zirpoli:

“L’incrociatore della Marina era in navigazione verso l’Egitto. Gli incursori lo raggiungono con tre SH-3D. «Sull’elicottero siamo una decina, più l’equipaggio. Stipatissimi, tra le borse dei materiali. Un volo diretto, per risparmiare carburante, credo duri almeno sei ore. Mi metto le cuffie da tiro e riesco anche a dormire un po’».

Gattoni, invece, da Pisa raggiunge la base della Raf di Akrotiri, a Cipro:

«Con l’aereo presidenziale. Io mi siedo proprio dove Pertini ha giocato a scopone con Bearzot, Zoff e Causio di ritorno dal Mundial. Atterriamo a Cipro poco prima dell’alba. Qui ci sono già i Delta Force, le forze speciali americane. Sono agitati, impegnati in un’attività febbrile: muovono materiali, approntano piccoli elicotteri. Capiamo subito che si stanno preparando a intervenire». È il 9 ottobre.

Sarà l’ambasciatore Usa a Roma, Maxwell Rabb, a informare il premier Bettino Craxi che l’assalto era stato previsto dal Pentagono per quella notte.

Quando la nave da crociera sarà nelle acque siriane di Tartous la situazione precipita. I terroristi uccidono uno degli ostaggi, l’ebreo americano Leon Klinghoffer, classe 1916, emiplegico per una trombosi, in crociera con la moglie. «Ripartiamo da Akrotiri con l’elicottero: dobbiamo unirci ai colleghi sul Veneto e andare all’assalto. Spettava a noi farlo, perché l’Achille Lauro era territorio italiano», ricorda Gattoni. «Andavamo su è giù per i ponti dell’incrociatore, provando fino allo sfinimento le modalità d’assalto – continua Zirpoli -. Avremmo dovuto saturare l’obiettivo in pochi secondi; guadagnare la plancia, la stazione radio. Ma senza piani della nave… I terroristi potevano essere ovunque». Sì, non sarebbe stata una «bonifica» facile. «Se i palestinesi avessero aperto il fuoco – ammette Gattoni – noi avremmo risposto». Con i rischi del caso. Ma non si porranno. «Mentre stiamo atterrando sull’incrociatore il pilota c’informa che la missione è annullata. Cessata crisi, i dirottatori si sono arresi». Era prevalsa la soluzione diplomatica.