Martina Rossi. Il pm non crede al suicidio a Majorca. Processo ai due amici. Con le intercettazioni…

di Antonio Buttazzo
Pubblicato il 2 Giugno 2017 - 07:00| Aggiornato il 2 Ottobre 2018 OLTRE 6 MESI FA
Martina Rossi. Il pm non crede al suicidio a Majorca. Processo ai due amici. Con le intercettazioni...

Martina Rossi. Il pm non crede al suicidio a Majorca. Processo ai due amici. Con le intercettazioni…

ROMA – Martina Rossi. Il pm non crede al suicidio a Majorca. Processo ai due amici. Con le intercettazioni… Si possono usare le intercettazioni dei due giovani accusati di avere causato la morte Martina Rossi, la ragazza genovese che il 3 agosto del 2011 cadde dalla finestra al sesto piano di un albergo a Majorca. Secondo l’accusa cercava di sfuggire a un tentativo di violenza carnale. Secondo la difesa fu un suicidio. Due giovani, Alessandro Albertoni, 25 anni, studente universitario e Luca Vanneschi, 26 anni piccolo imprenditore, entrambi di Castiglion Fibocchi (Arezzo), sono sospettati di avere causato la morte di Martina cercando di violentarla.

Il pm di Arezzo, Roberto Rossi, ha chiesto il rinvio a giudizio dei due giovani. Il pm Rossi sposa la tesi del collega genovese: Martina provò a fuggire a un tentativo di abuso scavalcando il balcone verso un’altra stanza e cadde nel vuoto: morte in conseguenza di altro reato, l’ipotesi accusatoria.

La tesi del suicidio è avallata, suggerisce invece la difesa, anche da un precedente, debitamente refertato nelle carte del processo, il tentativo fallito da parte della ragazza di porre fine alla sua vita dopo una crisi sentimentale, tentativo del Capodanno del 2009. E dalla dichiarazione di una cameriera spagnola, la cui testimonianza – dice di aver visto la ragazza buttarsi – sarà sottoposta a verifica l’8 giugno con la traduzione della rogatoria.

I due intercettati: si mettevano d’accordo su cosa dire ai magistrati? In tv, il programma di Rai Tre “Chi l’ha visto?” ha diffuso l’audio nel quale Alessandro e Luca parlottano prima di essere interrogati come testimoni, a Genova: i due, ignari della cimice che li ascolta, sembrano accordarsi su quello che diranno. In più ci sono le intercettazioni delle conversazioni telefoniche.

Le intercettazioni riguardano le frasi con le quali Alessandro rassicura Luca uscendo dall’interrogatorio in procura: «Sul corpo non sono riportati segni di violenza sessuale». In un momento, il 7 febbraio 2012, in cui lo stupro non era ancora all’ordine del giorno delle indagini condotte dal Pm genovese Biagio Mazzeo […] C’è infine quello che i due castiglionesi si dicono nella stanzetta della procura ripresi dalla telecamera. «Digli che eri a letto, hai sentito un tonfo e hai visto una figura cadere giù», suggerisce Alessandro a Luca. (Salvatore Mannino, La Nazione)

La decisione se debbano andare a giudizio spetta al Gip di Arezzo, davanti al quale è in corso l’udienza preliminare che si concluderà il 10 luglio col rinvio a giudizio o il proscioglimento dei due. Un passo avanti è stato fatto il 30 maggio 2017 con la decisione del Gip, Piergiorgio Ponticelli, di considerare utilizzabili le intercettazioni telefoniche e ambientali fatte dalla Procura della Repubblica di Genova (pm Biagio Mazzeo), quando ancora i due accusati non erano ancora formalmente indiziati.

Per uno dei difensori, Stefano Buricchi, non sono utilizzabili perché vennero disposte quando ancora mancavano i “gravi indizi” per disporle. Sulla possibilità di un eventuale processo grava anche una incognita giurisprudenziale.

Ne bis in idem? La giustizia spagnola ha già giudicato il merito. Secondo Tiberio Baroni, altro legale della difesa, il caso costituisce un “ne bis in idem” internazionale. Secondo l’avvocato, sul caso Martina c’è già un giudicato della magistratura spagnola che aveva archiviato tutto come suicidio e non si può imbastire un altro processo in Italia. Su questo il giudice Ponticelli si è riservato di decidere, in attesa della traduzione.

La vicenda giudiziaria legata alla morte di Martina Rossi è in corso da 7 anni. Inizialmente la polizia spagnola stabilì che si era trattato di un suicidio. La ferma insistenza dei genitori della ragazza ha determinato la svolta dell’inchiesta che è stata poi condotta dalla Procura della Repubblica di Arezzo in quanto in caso di delitti commessi all’estero è competente il Tribunale di residenza dell’accusato.