Micol Scofano, si uccise perché vessata dal fidanzato? Lui a processo

di redazione Blitz
Pubblicato il 14 Ottobre 2016 - 13:04 OLTRE 6 MESI FA
Micol Scofano, si uccise perché vessata dal fidanzato? Lui a processo

Micol Scofano, si uccise perché vessata dal fidanzato? Lui a processo

ROMA – Micol Scofano, 23 anni, era una ragazza bellissima, studentessa brillante in Medicina. Si era trasferita a Roma da un paesino in provincia di Cosenza. Credeva di aver trovato l’amore. Ma in realtà si era cacciata in un brutto incubo. Tre anni di insulti, violenze, umiliazioni e droghe. Fino al 17 maggio 2013, quando Micol decide di farla finita: si è gettata nel vuoto dal quinto piano del palazzo in cui abitava nel quartiere Trionfale a Roma. Lasciò un biglietto: “Non mi piace stare a Roma, qui frequento brutte compagnie”.

Per il pm Francesco Dall’Olio, che ha chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio, sarebbe stato Francesco Sciammarella, il fidanzato, a rendere un inferno la vita della ragazza. Ora lui andrà a processo per istigazione al suicidio e cessione di stupefacendosi.

La relazione con Sciammarella inizia nel 2010. Come ricostruisce Michela Allegri sul Messaggero:

«Mi ha fatto mangiare di tutto, aiutami», confessa la giovane alla madre. E’ scritto nella consulenza della criminologa Roberta Bruzzone. Micol è vittima di una dipendenza psicologica nei confronti del ragazzo: lo perdona quando lui la tradisce, non si allontana nemmeno quando la minaccia con un coltello. Dopo tre anni, la giovane si sente sola. Sciammarella l’avrebbe isolata impedendole di frequentare gli amici di sempre. Gli stessi amici che descrivono Micol come una ragazza brillante. Bella da mozzare il fiato, bravissima negli studi.

Dalle indagini è emerso che la relazione avrebbe influito negativamente anche sul rendimento universitario. E che il ragazzo, invece di consolarla, non avrebbe perso occasione per deriderla. E’ il gennaio 2012, Micol viene bocciata a un esame. «Sei una fallita, i tuoi genitori si vergognano», dice Sciammarella. Nei giorni prima di togliersi la vita, la ragazza è ossessionata dai social network. Ha paura di essere finita in una trappola virtuale e decide di rivolgersi alla polizia postale.

«Mamma ti prego vieni a Roma», dice alla madre il 16 maggio 2013. La donna, che si è costituita parte civile con l’avvocato Federica D’Angelo, si mette subito in viaggio. Ad attenderla, un biglietto accanto alla finestra: «Non ho fatto nulla, mi hanno rovinato». Nel computer della ragazza, gli inquirenti troveranno fotografie e un filmato intitolato «Ricatto». E’ un video di lei e Sciammarella che si scambiano effusioni. Sul comodino, una lettera che, per la criminologa Bruzzone, è stata scritta dall’imputato. La frase finale è una stoccata: «Sei una pornostar».

L’avvocato Antonio Stellato, che difende Sciammarella, è convinto che il suo assistito sia vittima di un equivoco. «Il processo è contro la figura dello stalker, che l’imputato non incarna. Nessun teste dice di avergli sentito pronunciare espressioni che istigassero al suicidio».