25 luglio ’43. Il Gran Consiglio esautora Mussolini: perché non reagì?

Pubblicato il 25 Luglio 2013 - 08:57 OLTRE 6 MESI FA
25 luglio '43. Il Gran Consiglio esautora Mussolini: perché non reagì?

25 luglio ’43. Il Gran Consiglio esautora Mussolini: perché non reagì?

ROMA – 25 luglio ’43: il Gran Consiglio caccia Mussolini, perché non reagì? Alla fine re Vittorio Emanuele, convocato il Duce nel pomeriggio a Villa Savoia per riferire, lo fece arrestare dai carabinieri: ma il fascismo era già caduto al’alba del 25 luglio, senza spargimenti di sangue, grazie a un ordine del giorno di poche righe e pure sgrammaticato. Un regime ventennale cadeva al termine di una drammatica ma ordinata votazione in cui i gerarchi rimettevano il potere nelle mani della Corona.

Mussolini, dittatore e capo del governo, ministro e comandante supremo delle Forze armate, ministro degli Affari esteri, ministro dell’Interno, presidente del Gran Consiglio del Fascismo è stranamente conciliante, non si oppone, lascia fare. Perché fu così imbelle? Commenta 70 anni dopo Sergio Romano sul Corriere della Sera: “Se i buchi nella barca non li avesse fatti lui, verrebbe voglia di concludere che, fra i molti protagonisti del 25 luglio, Mussolini non fu il peggiore”.

“Falli arrestare tutti prima di cominciare”. E’ il pomeriggio del 24. Mussolini si appresta a recarsi presso il Gran Consiglio convocato a Palazzo Venezia. Donna Rachele ha un presentimento, consiglia il marito di farli arrestare tutti: il Duce non ha una migliore considerazione dei suoi gerarchi.

Modesti, modestissimi d’intelligenza, vacillanti nella fede, scarsamente dotati di coraggio. È gente che vive di luce riflessa; se si spegnesse la sorgente, ripiomberebbero nelle tenebre donde sono usciti. Credete a me, Chierici, essi non chiedono di meglio che di essere persuasi.

La convocazione del Gran Consiglio. Il Gran Consiglio, che non veniva convocato da tre anni, è immaginato da Mussolini come l’occasione per fare il punto della situazione, parlerà anche dell’incontro del 19 a Feltre con Hitler: non crede al complotto anche se conosce trame e tentativi che dal Vaticano alla monarchia si susseguono. Partecipano alla riunione, divisi per carica di regime e vicinanza con il duce, tutti i gerarchi. “Sede Littoria, 21 luglio XXI, riservata-personale. Il duce ha convocato il Gran Consiglio per sabato 24 alle ore 17. Il Segretario del P.N.F. (Carlo Scorza). Divisa fascista (Sahariana nera, pantaloni corti grigio-verdi)”: è la lettera d’invito, con la raccomandazione di tenere la bocca chiusa.

L’ordine del giorno firmato Grandi. Due fronti raccolgono i maggiori consensi. Quello guidato da Dino Grandi, presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, che con Giuseppe Bottai, Luigi Federzoni e Galeazzo Ciano, genero di Mussolini, ha preparato un ordine del giorno in cui il comando delle forze armate è restituito al re con il ripristino dello statuto albertino. Guida l’altro fronte Farinacci: Mussolini deve capitolare lasciando il comando, ma scommette su Hitler e intende nazificare l’Italia. Una terza mozione, quella del segretario del Pnf Scorza è stata preparata in fretta e furia la mattina stessa. Dino Grandi, temendo la reazione del Duce, nasconde due granate in tasca. In realtà, a Palazzo Venezia non ci sono nemmeno i moschettieri del Duce anche se il luogo è ben presidiato.

Mussolini, dopo aver riassunto la drammatica situazione italiana chiede secco: guerra o pace? L’alleanza con i tedeschi non si discute, con loro fino alla morte. La discussione si protrae, Mussolini vuole aggiornarla, Grandi suda freddo ma si impone. Si va avanti ad oltranza, fino alla votazione che alle 3 del mattino.

I sì sono 19: Acerbo, Albini, Alfieri, Balella, Bastianini, Bignardi, Bottai, Cianetti, Ciano, De Bono, De Marsico, De Stefani, De Vecchi, Federzoni, Gottardi, Grandi, Marinelli, Pareschi e Rossoni. Sette i no: Biggini, Buffarini Guidi, Frattari, Galbiati, Polverelli, Scorza e Tringali Casanuova. Farinacci vota il proprio ordine del giorno. Un astenuto, Suardo. ‘ordine del giorno Grandi è accettato.

Mussolini capitola con urbanità: “Sta bene, mi pare che basti. Possiamo andare. Signori, con questo ordine del giorno avete provocato la crisi del regime. La seduta è tolta”. Il fascismo è caduto, la guerra continua, ma per un altro mese e mezzo, fino all’8 settembre. Il 26 luglio Duccio Galimberti pronuncia lo storico discorso nella piazza principale di Cuneo che dà il via alla Resistenza. Oggi, a settant’anni di distanza è stato recuperato il documento originale del verbale della storica seduta del Gran Consiglio. Ma è stato anche ricostruito, attraverso testimonianze e bozze preparatorie, il discorso che Galimberti fece a braccio.