‘Ndrangheta, giovane pentito racconta: “Io, figlio di boss, tra Milano e Piemonte”

di redazione Blitz
Pubblicato il 19 Febbraio 2017 - 15:54 OLTRE 6 MESI FA

TORINO – Si chiama Domenico Agresta e ha solo 28 anni, ma è uno dei più importanti collaboratori di giustizia nelle mani dell’Antimafia dai tempi di Saverio Morabito. Al capo della Direzione distrettuale antimafia Anna Maria Loreto ha spiegato come cresce un figlio della mafia nel Nord Italia, tra Piemonte e Lombardia, ed in particolare nell’hitenrland milanese, tra Cesano Boscone, Buccinasco e Corsico. Un racconto ripreso da  Cesare Giuzzi del Corriere della Sera.

“Alcune persone sono state affiliate alla ‘ndrangheta per le loro capacità. A me è successo da ragazzino, non per le mie capacità a delinquere, ma per la mia provenienza familiare”. 

Inizia con queste parole il racconto di Domenico Agresta, detto Micu McDonald, nato a Locri il 22 settembre 1988, attualmente detenuto dopo una condanna a 30 anni per l’omicidio del piastrellista Giuseppe Trapasso, 23 anni, freddato in Piemonte nell’ottobre del 2008.

Da allora Agresta è in carcere, ma adesso dice di voler “collaborare con la giustizia”. Un aiuto che potrebbe rivelarsi importantissimo, dal momento che Agresta ha vissuto a Platì (Reggio Calabria), a Volpiano (Torino) e a Buccinasco, e di queste terre conosce ogni segreto. Ma soprattutto perché, spiega il Corriere della Sera,

la sua famiglia fa parte dell’oligarchia della mafia d’Aspromonte trapiantata al Nord, insieme ai Marando, ai Trimboli, ai Molluso, ai Papalia, ai Perre e ai potentissimi Barbaro. Famiglie strettamente imparentate tra loro e per questo solide, impenetrabili, mai toccate da faide.

Agresta si rende conto di tutto questo e dice di essere

“preoccupato per la mia sicurezza, i fatti che riferirò riguardano e coinvolgono i miei familiari. Sono stato affiliato alla ‘ndrangheta e la maggior parte delle cose che ho da dire riguardano i miei familiari”.

Il padre di Agresta, Saverio, oggi è libero, ma era considerato il caposocietà del locale di Volpiano. Il nonno Domenico, invece, è stato il capo della ‘ndrangheta di tutto il Piemonte. Ma per anni lui e la sua famiglia hanno vissuto alle porte di Milano tra Buccinasco, Corsico e Cesano Boscone. E adesso, sottolinea il Corriere della Sera, le rivelazioni ai magistrati potrebbero provocare un terremoto.

“Fino a due anni fa non pensavo minimamente di collaborare. In carcere è arrivato mio zio Domenico Marando (fratello del boss Pasqualino, scomparso e ucciso in circostanze misteriose, ndr ). Mio zio mi stava addosso, mi opprimeva. Si lamentava perché secondo lui stavo prendendo troppo sul serio la scuola e andavo troppo dall’educatrice. Ma i valori e la vita in cui erano inserito erano tutti sbagliati. Prima pensavo che l’arresto di una persona fosse togliergli la libertà, in realtà non è così. Mentre facevo questo percorso, in carcere continuavo a ricevere le “doti” di ‘ndrangheta. Questa condizione ha iniziato a pesarmi, la vivevo come una maschera. Non sono una persona omertosa in grado di rispettare le regole della ‘ndrangheta. Ho senso di colpa per la morte di Trapasso”.

Ed ecco il racconto della sua iniziazione mafiosa:

“Io sono stato “fatto uomo” (battezzato nella ‘ndrangheta, ndr ) nell’aprile 2008. Devo dire però che anche prima e in tutta la mia vita ho “respirato” una serie di insegnamenti e valori che erano quelli tipici della ‘ndrangheta”. Intendo dire che a chi non è “uomo”, ovvero non è stato affiliato, non è possibile fare discorsi di ‘ndrangheta, però io avevo capito avendo vissuto fin da bambino in quell’ambiente che sia mio padre sia i miei parenti erano ‘ndranghetisti”.

Dopo l’arresto, nel 2008,

“al carcere di Torino ho ricevuto una serie di doti, prima quella del camorrista, poi lo sgarro, poi la santa, il vangelo e infine le doti di trequartino, quartino e padrino , tutte insieme. Le doti mi furono riconosciute perché avevo commesso un omicidio e non avevo parlato, ma anche per l’importanza che aveva mio padre”,

che è stato detenuto molti anni per traffico di droga e oggi vive, libero, a Casorate Primo (Pavia). Il racconto di Domenico parte dagli anni milanesi:

“Da bambino ho vissuto a Volpiano, quando avevo quattro o cinque anni mi sono trasferito con la famiglia a Buccinasco. Negli anni in cui mio padre è stato detenuto abbiamo vissuto facendo su e giù tra il Piemonte e Corsico, Buccinasco e Cesano Boscone. In provincia di Milano abbiamo vissuto in case che ci aveva messo a disposizione mio zio Pasqualino, prima di essere ucciso”.

Poi racconta della madre, Anna Marando:

“So che mia mamma non condividerà la mia scelta e non mi vorrà più come figlio. Lei è attaccata ai suoi fratelli, è stereotipata dalle regole della ‘ndrangheta. Se si trasgrediscono le regole della ‘ndrangheta non c’è affetto che conti. Questo vale anche per mia madre. Sono consapevole che questo percorso lo farò da solo”.

E spiega che cosa significhi per una donna crescere in una famiglia mafiosa:

“Le mie sorelle sono state cresciute in quel mondo ed è come se fossero in carcere. I loro matrimoni sono stati combinati dai genitori che hanno indicato i futuri mariti. Hanno scelto i loro pretendenti solo per l’aspetto fisico, tra quelli che mio padre gli aveva indicato come possibili mariti. Ricordo che mia sorella aveva iniziato a frequentare una scuola di moda e poi mio padre l’ha fatta smettere perché non voleva che indossasse abiti di un certo tipo”.