Primo Levi, un “segreto brutto” divide Repubblica e Corriere

Pubblicato il 18 Aprile 2013 - 09:07| Aggiornato il 24 Gennaio 2023 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Primo Levi, un “segreto brutto” divide Repubblica e Corriere. Non litigano soltanto sul numero di copie vendute e sul primato nelle tirature di quotidiani: Corriere della Sera e Repubblica continuano la guerra con altri mezzi, stavolta culturalmente più elevati, niente meno che su Primo Levi, gigante della letteratura italiana prima che testimone unico dell’inferno concentrazionario.

E sulla cosiddetta “vulgata resistenziale”, locuzione un po’ spregiativa usata dai frequentatori, anche marginali, del cosiddetto revisionismo storico, per denunciarne l’accettazione acritica e manichea del racconto su quella che Claudio Pavone per primo definì “guerra civile”. Paolo Mieli sul Corriere della Sera dedica uno spazio enorme nelle pagine della cultura alla storia, non inedita ma poco conosciuta, di Luzzatto sulla banda partigiana dello scrittore che fucilò due suoi membri.

Repubblica, invece, denuncia un tentativo di strumentalizzazione: “Su Primo Levi solo scandalismo”, l’articolo di Massimo Novelli che contiene critiche e rimostranze da parte di un fronte compatto di “einaudiani” (il libro non a caso è uscito per Mondadori), da Marco Revelli, figlio del partigiano Nuto, a Ernesto Ferrero, l’accusa a Luzzatto è addirittura di un “uso disumano” di Primo Levi e “uso scandalistico della Storia” (Revelli, che non ha letto il libro). Anche Gad Lerner è rimasto turbato dalla pubblicazione  e dall’autore che, fra l’altro, ha il torto, secondo questo fronte, di aver cambiato idea sul “revisionismo” di Gianpaolo Pansa, quello del “Sangue dei vinti”, quello di una lettura meno agiografica di una pagina esaltante e tragica della storia nazionale.

“Partigia. Una storia della Resistenza”. E’ l’ultimo lavoro dello storico Sergio Luzzatto: i “partigia” del titolo sono i resistenti antifascisti del Piemonte. Ebreo, “devoto” della religione civile della lotta al nazifascismo, Luzzatto si concentra in particolare su un episodio drammatico della breve esperienza partigiana di Primo Levi, prima di arresto e deportazione. Un “segreto brutto” affiora da poche pagine dell’opera dello scrittore. Una condanna, due esecuzioni, l’umiliazione di esser stati manovrati da spie fasciste.

“Quel giorno, il diciottenne Fulvio Oppezzo di Cerrina Monferrato (nome di battaglia «Furio») e il diciassettenne Luciano Zabaldano di Torino (nome di battaglia «Mare») vengono fatti uscire da una baita di Frumy e uccisi dai loro compagni con il «metodo sovietico», cioè a freddo, senza annunciar loro la morte imminente. L’imputazione — assai generica per quel che è dato ricostruire — è di essersi comportati male con i valligiani e di aver rubato”. (Primo Levi, Il Sistema periodico, 1975)

La recensione di Paolo Mieli da cui ricaviamo la citazione è entusiasta del lavoro di Luzzatto. La vicenda si legge come un romanzo, forse la tentazione di narrare il “cuore di tenebra” dentro la banda del Col de Joux fa velo, secondo i detrattori, alla perizia storiografica. La banda del Col de Joux, che finisce per essere decimata da capi infiltrati da Salò, non è il massimo secondo lo stesso Primo Levi:

“[…] mancavano gli uomini capaci, ed eravamo invece sommersi da un diluvio di gente squalificata, in buona fede e in malafede, che arrivava lassù dalla pianura in cerca di una organizzazione inesistente.”

Il contenuto violento, indicibile della condanna va inserita nel contesto storico-militare di guerra civile e spaesamento. Per chi ruba, o tratta male i valligiani, o disubbidisce c’è la legge marziale: la sua feroce applicazione verrà attribuita agli infiltrati fascisti Chi non gradisce la ricostruzione dice che la vicenda è nota, il revisionismo ha preso la mano allo storico, non capisce la sproporzione fra eventi minimi e il rilievo che gli viene dato. Oppezzo e Zabaldano, in ogni caso, diventarono eroi della Resistenza, la loro morte essendo stata attribuita ai nazi-fascisti. La loro morte durante una tragica “alba di neve”, secondo Luzzatto (e Mieli che condivide) è l’evento traumatico che Levi non dimenticherà più e di cui non scriverà che poche righe sparse. Scrive Mieli:

«Fra le due albe», scrive Luzzatto, «si consuma l’intero destino della banda del Col de Joux, perché l’esecuzione della sentenza lascia Levi e i compagni distrutti, desiderosi che tutto finisca e di finire essi stessi». Spegne in loro, secondo il Levi di oltre trent’anni dopo, «ogni volontà di resistere, anzi di vivere».